martedì 20 marzo 2018

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 3 marzo 2018. Docente invitato: Miriam L. Chorne


Seminario VI, “Il desiderio e la sua interpretazione”, capitolo VI Introduzione alloggetto del desiderioe VII La mediazione fallica del desiderio”.

Dei diversi sogni analizzati da Lacan nel seminario VI ci soffermeremo sul sogno di Chuang Tzu. Nel Seminario su I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, a proposito del tema dello sguardo, Lacan si riferisce a questo sogno di Chuang Tzu: “Un giorno sognai che di essere una farfalla che volava libera nel cielo. Quando mi svegliai subito vidi che era Chuang Tzu che sognava di essere una farfalla. Ma adesso non posso sapere se sono Chuang Tzu che sognava di essere una farfalla o sono una farfalla che sogna di essere Chuang Tzu.
Lacan dice che Chuang Tzu non si sbaglia, ha doppiamente ragione. “In primo luogo perché questo prova che non è pazzo, che non si crede assolutamente identico a Chuang Tzu e, in secondo luogo, perché non sa di dire così bene. Effettivamente è quando era farfalla che si afferrava a una qualche radice della propria identità: egli era ed è, nella sua essenza, questa farfalla che si tinge con i suoi propri colori. Ed è in questo modo, nella radice ultima, che egli è Chuang Tzu”. 
Mentre Chuang Tzu sognava di essere una farfalla, non sapeva chi era, ma neppure la visione del suo corpo e del mondo, dà all’Io tale auspicata certezza.              
Questa concezione è il contrario delle teorizzazioni più abituali della filosofia e della scienza - e anche della concezione del senso comune - che fa della percezione la base della certezza soggettiva. Per questa ragione Lacan contrapporrà nello stesso Seminario XI la visione e lo sguardo: quest’ultimo è libidinale, questione di godimento. Per dimostrarlo Lacan si serve dell’anamorfosi.

Fin dall’inizio del seminario VI Lacan si sofferma sull’ “inquietudine ontologica”: interrogarsi sul proprio nome di soggetto è un’esperienza soggettiva fondamentale, che pone di fronte alla mancanza di garanzia della propria identità. Come può il soggetto trovare un supporto proprio lì dove s’indebolisce la sua designazione di soggetto? Lì dove viene meno la sua certezza di soggetto?
Nella misura in cui il soggetto non si può designare, non si può nominare nel significante, è portato a compensare questa carenza, questa mancanza, mettendo qualcosa dalla sua propria parte, qualcosa da sé: l’oggetto a. Ciò che dà sostegno alla posizione del soggetto è l’oggetto nel fantasma, la forma più riuscita dell’oggetto.
La domanda del soggetto su chi è non trova risposta, non può trovare risposta se non nel fantasma. Il fantasma è il termine dell’interrogazione del soggetto, il luogo dove la domanda del soggetto sul suo desiderio trova una risposta. Nel grafo il lato sinistro corrisponde al lato delle risposte, cioè il fantasma si costituisce come il “nec plus ultra” del desiderio. L’esperienza del soggetto rispetto del desiderio è il suo carattere di rinvio di augurio in augurio (“voeu en voeu” p.398). L’analisi del sogno de “La bella macellaia” mostra bene questo rinvio di desiderio in desiderio: ciò che può arrestare il rapporto infinito al significante è l’oggetto che il soggetto è nel fantasma. 

Per questo motivo Jacques-Alain Miller sostiene che questo seminario è interamente attraversato da un filo rosso che è il desiderio e la sua interpretazione, come espresso nel titolo; ma il segreto è che culmina - diventando la tematica più importante negli ultimi capitoli - con lo sviluppo della questione del fantasma. È sufficiente leggere i titoli dati da Miller agli ultimi capitoli (es. Il fantasma fondamentale, Taglio e fantasma, La funzione della fessura soggettiva nel fantasma perverso, ecc.): il concetto di fantasma era apparso nello scritto La direzione della cura, ma non era stato sviluppato fino al sesto seminario. È proprio ora, in questo seminario, che Lacan stabilisce una prima logica del fantasma (la seconda sarà formulata nel seminario che porta appunto questo titolo La logica del fantasma).

La questione parte dall’incertezza soggettiva: “Chi sono io? Cosa vuole l’Altro da me?”.
Il primo incontro con queste questioni avviene a livello della simultaneità dei significanti, quello che nel grafo è il punto di incontro con il codice. Qui abbiamo in atto il gioco del significante, qualcosa che funziona come un mulinello di parole. Nelle pp. 15-16 Lacan dice: “Il bambino si rivolge a un soggetto di cui sa che è parlante di cui ha visto che è parlante, e che l’ha inondato di rapporti fin dal primo momento del suo risveglio alla luce del giorno. Il soggetto deve apprendere molto presto che quella è una via, che si tratta di una strettoia per cui le manifestazioni dei suoi bisogni devono abbassarsi a transitare affinché questi bisogni vengano soddisfatti.”
Questo è un approdo innocente al linguaggio. È il livello infans del discorso, giacché forse non è nemmeno necessario che il bambino sia già arrivato a parlare perché si faccia valere il marchio, l’orma impressa sul bisogno dalla domanda, com’è dimostrato dai suoi vagiti alternanti.
Il secondo incontro, la seconda tappa del grafo – non da intendere come tappe tipiche dello sviluppo, anche se occasionalmente è possibile trovarvi qualcosa che ha a che vedere con tappe effettivamente realizzate del soggetto, si tratta invece di tappe logiche –  implica che il bambino, anche se non sa ancora tenere un discorso, sappia già parlare, cosa che avviene molto presto. Non si tratta della presa nel linguaggio, è qualcosa al di là: qui si produce l’apprensione dell’Altro come tale da parte del soggetto.
“L’Altro di cui si tratta è colui che può dare al soggetto la risposta al suo appello” (p. 18). La questione Che vuoi? è posta all’Altro, è posta da dove il soggetto fa il suo primo incontro con il desiderio, il desiderio in quanto è anzitutto il desiderio dell’Altro. C’è rapporto con l’Altro in quanto c’è appello all’Altro come presenza, presenza su uno sfondo di assenza. È il momento segnalato dal fort-da, che ha tanto vivamente impressionato Freud intorno al 1915, mentre osservava uno dei suoi nipoti.
Ci sono quindi due momenti: un momento infans, prima che il bambino parli, ma nel quale è già nel linguaggio perché riceve il marchio dal fatto che i suoi bisogni siano significati dall’Altro in termini significanti; un secondo momento nel quale il bambino, che non è ancora nel discorso, sa comunque parlare, si appropria del linguaggio. 
“A partire dal momento in cui la struttura della catena significante ha realizzato l’appello all’Altro, ossia in cui il processo dell’enunciazione si distingue dalla formula dell’enunciato e vi si sovrappone, la presa del soggetto nell’articolazione della parola, che è stata inizialmente innocente, diventa inconscia” (p.19). Si tratta in questo momento non già della presenza del codice in sé, ma della scelta di uno o di un altro significante, scelta che è alla portata dell’Altro secondo un processo commutativo, cioè sostitutivo. Il processo metaforico sarà sviluppato da Lacan intorno al tema della metafora paterna e aprirà a una moltiplicazione di quelle significazioni che caratterizzano l’arricchimento del mondo umano.

Partendo da questi concetti Lacan si occuperà nel capitolo VI di analizzare il sogno del “padre che era morto è non lo sapeva” con le categorie dell’enunciato e dell’enunciazione. Per questo motivo tornerò sul grafo per scrivere i due enunciati nei distinti livelli e aggiungere le mancanti parole di Freud “secondo il suo augurio” nel mezzo del grafo, tra desiderio e fantasma (p.130).
Con l’introduzione del fantasma, cioè con l’introduzione dell’oggetto, Lacan va al di là di Freud. Nel capitolo 7 riprenderà di nuovo il sogno per analizzarlo alla luce delle categorie di domanda e desiderio che farà giocare nella loro dialettica; sviluppando una feroce critica allo sviluppo dell’analisi dopo Freud. È molto importante questa critica perché - come in altre occasioni - si capisce meglio cosa dice Lacan quando capiamo contro chi e contro cosa si scaglia.


L’analisi del sogno del Padre morto

Qual è la ragione che porta Lacan a parlare dei sogni per sviluppare il soggetto del desiderio e la sua interpretazione? Quasi la metà del seminario è dedicata al sogno. Prima si occupa del sogno di Anna, poi del sogno del padre morto e dopo, per cinque capitoli, parla del sogno analizzato da Ella Sharpe.

Prenderò in primo luogo il sogno già analizzato da Lacan nei capitoli precedenti, quello de “il padre che era morto e non lo sapeva”. È un analisi straordinaria, non soltanto per la bellezza letteraria, ma anche perché Lacan parla di noi, trascinando i temi del cielo e della terra, parla di cose molto prossime: dell’esistenza e della morte. Tocca anche in modo commovente, con una freschezza e una forza incomparabile, il doppio problema del soggetto e dell’essere: Cosa sono? Cosa vuole dire essere? Ci confrontiamo fuori da tutti i falsi valori, da tutte le convenzionalità, da tutte le bugie, con la grandezza tragica della nostra esistenza solitaria: “in verità” e “di fronte alla morte”.
Quest’analisi di radice heiddeggeriana comincia dicendo che il soggetto affronta un altro, il padre -come ChuangTzu affrontava la farfalla che era nel suo fantasma. Nel sogno il padre riappare vivo e, rispetto al soggetto si trova in un rapporto di ambiguità. È il padre che fa sì che il soggetto si carichi del dolore di esistere. È sua l’anima che il soggetto ha visto agonizzare. È a lui che egli ha auspicato la morte - in quanto non vi è nulla di più intollerabile dell’esistenza ridotta a se stessa, l’esistenza al di là di tutto ciò che può sostenerla, l’esistenza mantenuta nell’abolizione del desiderio.

S’intravede qui una ripartizione delle funzione intra-soggettive. Il soggetto si fa carico del dolore dell’altro, rigettando però su costui ciò che non sa, vale a dire l’ignoranza che gli è propria in quanto soggetto. Il suo desiderio è infatti quello di sostenersi in questa ignoranza. “È precisamente questo il desiderio del sogno.”, dice Lacan. Il desiderio di morte acquista qui il suo senso pieno. È il desiderio di non svegliarsi, di non destarsi al messaggio secondo cui il soggetto in conseguenza della morte del padre si trova ormai di fronte alla morte. Il sentimento di essere diventato orfano che accompagna l’afflizione dalla perdita dei genitori si sperimenta molte volte come un trovarsi confrontato alla morte senza la protezione, “una specie di scudo”, dice Lacan, che fino ad allora aveva rappresentato la presenza dei genitori. Ovvero a che cosa? Alla castrazione lì presente nel dolore di esistere.

Aprendo una parentesi, leggere un testo implica fermarsi su un dettaglio: come si deve leggere una espressione? Qual è il senso di un determinato termine in questo momento dell’insegnamento di Lacan?
A p.110 Lacan si sofferma sulla ripartizione delle funzioni tra i personaggi del sogno come intra-soggettive, ponendole come una ripartizione tra il livello dell’enunciato e il livello dell’enunciazione, in questo senso sarebbe una modifica del modo in cui intendeva la ripartizione delle funzioni tra i personaggi del sogno precedentemente. Ad esempio, nel Seminario II analizza il sogno della iniezione d’Irma, il sogno inaugurale, il sogno dei sogni, come lo chiama: nella sua analisi prende il concetto di resistenza che migra da Irma alla moglie di Freud, resistenza di tipo femminile scrive Lacan, però che è anche la resistenza del creatore della psicoanalisi di fronte allo spettacolo atroce della carne, il fondo delle cose, la carne da cui tutto esce, la carne in quanto sofferente, informe, che provoca l’angoscia. Freud, con un grande valore e immensa passione di sapere, rischia attraversandola.  Lacan commenta che un altro sicuramente si sarebbe svegliato.

Riprendendo il sogno del padre morto: in primo luogo c’è ciò che procede sulla base della parola del soggetto, cioè al livello della linea dell’enunciato. Il soggetto serba perfettamente il ricordo che lui ha auspicato la morte del padre perché voleva che l’agonia smettesse. La frase è “Egli non sapeva, secondo il suo augurio. Cioè il padre è nell’ignoranza del desiderio del figlio, desiderio della sua morte. Il soggetto gli ha effettivamente augurato la morte come liberazione e come fine dei suoi tormenti. Naturalmente ha fatto di tutto per dissimulare al padre il desiderio che a lui, il sognante, era perfettamente accessibile nel suo contesto recente. 

Al livello della linea superiore, cioè al livello dell’enunciazione, “secondo il suo augurio”  restituisce le tracce del complesso di Edipo, quelle della rivalità con il padre. “Egli era morto secondo il suo augurio”. Il figlio aveva desiderato la morte del padre perché lo prendeva come suo avversario.

Un’identificazione con l’aggressore è la tappa intermedia dell’interpretazione del sogno alla quale si aggancia la pura e semplice interpretazione del desiderio edipico. Possiamo dire che ha voluto la morte di suo padre alla tal data e per la tal ragione.  Fino a questo punto abbiamo l’interpretazione freudiana del sogno.

Nel proseguire l’indagine su cosa voglia dire questo desiderio, Lacan prende la questione per l’altro verso non dato nei sogni, e cioè a partire della formula del fantasma. Troviamo qui appunto la differenza tra l’analisi dei sogni nel seminario V e nel seminario VI: in quest’ultimo Lacan è interessato a mostrare che il fantasma sostiene, sopporta il desiderio, cioè l’interesse sull'oggetto.
Nel sogno, una volta ripristinato il “secondo il suo augurio a livello del desiderio infantile, si può andare proprio nel senso del desiderio del sogno. Qual è il desiderio di questo sogno? In quel momento cruciale della vita del soggetto, la scomparsa del padre, il fatto di intromettere l’immagine dell’oggetto per farne il supporto di un’ignoranza perpetua che veli il desiderio. L’”egli non sapeva è un appoggio dato a quello che è stato fino a quel momento l’alibi del desiderio. Esso mantiene e perpetua quella che era la funzione dell’interdizione veicolata dal padre. Essa separa il soggetto dal suo desiderio, procura al soggetto un riparo, in fin dei conti una difesa da quel desiderio, gli fornisce un pretesto morale per non affrontarlo.

Lacan riprende l’analisi del sogno fatta da Freud, ma la sua passa per l’oggetto e non per il significante, analizza il sogno attraverso l’oggetto. A p. 65 introduce il fantasma: “Questo confronto, questa scena strutturata, questo scenario ci sollecita degli interrogativi: che cos’è? Qual è la sua portata? Ha forse il valore fondamentale, strutturato e strutturante, di quello che cerco di precisare per voi quest’anno sotto il nome di fantasma? É un fantasma?”. È effettivamente un fantasma ed esattamente un fantasma da sogno: Lacan aggiunge all’interpretazione significante del sogno la rappresentazione immaginaria che il sogno offre per qualificarla come fantasma del sogno. Ammette che un fantasma sia nel sogno, appunto perché siamo al livello di rappresentazioni immaginarie, e lo fa fino al punto di dire che questo fantasma conserva la stessa struttura e la stessa significazione in altri contesti clinici: ci mostra come possa apparire nella psicosi, cioè quando è in gioco la forclusione come diversa dalla rimozione.
“Nella psicosi tale articolazione può sfociare in quelle sensazioni che vengono chiamate di invasione o di irruzione, oppure in quei momenti fecondi in cui il soggetto pensa di avere veramente di fronte qualcosa che è molto più vicino all’immagine del sogno di quanto ci si possa aspettare, vale a dire qualcuno che è morto. Il soggetto vive con un morto, ma con un morto che semplicemente non sa di essere morto”.

La prima logica del fantasma

L’interpretazione lacaniana va dunque al di là di quella edipica: questo sogno è una risposta al punto panico del soggetto, che Lacan descrive a p.96: “…L’oggetto consiste in qualcosa che è fuori di lui e che il soggetto non può cogliere nella sua natura specifica di linguaggio se non nel momento preciso in cui lui, come soggetto deve cancellarsi, dileguarsi, sparire dietro un significante. In questo momento che è, direi così, un punto panico, il soggetto deve aggrapparsi a qualcosa, e si aggrappa per l’appunto all’oggetto in quanto oggetto del desiderio.”
Se, attraverso il significante, Freud interpreta la rivalità edipica aggiungendo la clausola mancante  secondo il suo augurio”, Lacan invece dice che l’interpretazione attraverso l’oggetto va al di là, è più radicale: si tratta dell’uso del fantasma per rispondere all’interrogazione sul suo nome di soggetto, sulla verità del suo essere, al di là della rivalità edipica che ancora salva il padre, come dirà più tardi nel Seminario XVII. Proprio in quel seminario, nel capitolo VIII, Dal mito alla struttura, Lacan riprende il sogno del padre morto nel contesto della messa in rapporto tra questo sogno e il desiderio d’ignoranza della propria morte, per fare dell’identificazione l’equivalenza tra il padre morto e il godimento. Cioè trasforma il mito e fa del padre un operatore strutturale, un agente della castrazione.

La logica del fantasma è spiegata chiaramente a p. 416:
I)                   “Il soggetto incontra nell’Altro quell’incavo, quel vuoto che ho elaborato dicendovi che non c’è Altro dell’Altro”. Con questa definizione Lacan critica una sua categoria proposta nel seminario V e lascia il soggetto senza indice per nominarsi.
II)                “A questo punto il soggetto fa intervenire da altrove, ossia dal registro immaginario, qualcosa che fa parte di lui stesso in quanto coinvolto nella relazione immaginaria con l’altro”, nel rapporto speculare all’altro immaginario. “Questo oggetto è a minuscola. Essa sorge esattamente nel posto in cui si pone l’interrogazione di S su ciò che egli è veramente, su ciò che vuole veramente.”          
III)             Questo oggetto ha una funzione di supplenza tramite la quale il soggetto stesso apporta il riscatto alla carenza a livello dell’Altro del significante che gli risponde.

Questi due versanti della designazione da parte del soggetto – cercando la risposta dell’Altro sul suo nome di soggetto e la ricerca di una risposta per evitare il suo svanire utilizzando una parte di se stesso, ovvero l’oggetto che è nel fantasma –  possono essere chiarificati utilizzando le due operazioni studiate da Lacan nello scritto Posizione dell’inconscio e nel Seminario XI: l’alienazione e la separazione. In un certo senso, quello che nel Seminario VI è letto in termini di linguaggio è ripreso, nello scritto e nel Seminario XI, in termini di operazioni logiche.
L’essenziale della questione della separazione è che il soggetto diviso dal significante produce l’appello, condizione di complementarità che non sarà rivolta all’Altro, ma lui stesso dovrà mettere in gioco qualcosa, cioè l’oggetto a. Attraverso di esso potrà stabilire una congiunzione tra la posizione di soggetto e l’oggetto. Ovvero quella che scrive il fantasma, $<>a.

Nel seminario VI si inizia già a esplorare un campo al di là del significante, il campo del fantasma, dell’oggetto. Anche se quest’ultimo, in questo momento, ha ancora uno statuto immaginario, costituisce un avanzamento rispetto ai suoi scritti precedenti, ad esempio rispetto La direzione della cura, testo nel quale il desiderio non aveva un oggetto, era metonimia della mancanza-a-essere. Per questo motivo Lacan collega l’intervento dell’analista all’immagine del San Giovanni di Leonardo, “perché l’interpretazione ritrovi quell’orizzonte disabitato dell’essere”. Anche per questo l’interpretazione “deve dispiegare la virtù allusiva”, fare segno verso un al di là.
Il seminario VI interroga il rapporto indefinito che il significante produce, la sua metonimia costante stabilisce invece che il desiderio suppone un rapporto all’oggetto per la via del fantasma e che il fantasma è interpretazione del desiderio a condizione di partire dalla diacronia, dalla successione del desiderio, ma raccogliendo allo stesso tempo la sincronia, da cui il valore della formula $<>a.

L’oggetto (a) come oggetto parziale, oggetto di taglio

All’inizio del seminario si produce una conciliazione tra l’ordine simbolico e l’ordine immaginario. Conciliazione messa in evidenza nella propria scrittura della formula del fantasma dove $ sta per il soggetto del significante, della parola, e a per l’oggetto. Alla fine del seminario la struttura eterogenea del fantasma sarà un’articolazione tra simbolico e reale, data la definizioni dell’oggetto a  come reale, che avverrà molti anni più tardi. La formula è la stessa, ma cambia qualcosa, Lacan estende il concetto di oggetto a al di là dell’altro immaginario, ammettendo che tutta una catena, tutta una sceneggiatura, possa iscriversi nel fantasma. Sono pagine bellissime, di un rigore clinico straordinario, forse non c’è una descrizione più accurata del passaggio all’atto perverso di quella analizzata nell’atto esibizionista e voyeurista del capitolo XXIII; neppure nella produzione di una perversione artificiale, come nel caso presentato da Ruth Lebovici.

In questo momento Lacan s’interessa a quella che è propriamente la struttura del soggetto, e la trova nell’intervallo della catena significante, nel taglio, che sarà l’ultima parola di questo seminario. Nel capitolo XXII, Lacan convoca l’oggetto pre-genitale che è rimasto durante l’intero seminario assente dal registro del fantasma. L’oggetto pre-genitale considerato fino a questo momento essenzialmente come un significante, si trova qui implicato nel fantasma come oggetto di taglio. Ciò vuol dire che Lacan fa una virata sensazionale e la fa senza segnalarla.
Si scopre così che l’oggetto a non è soltanto radicato nell’immaginario, ma che esso è anche oggetto di taglio, oggetto di svezzamento, e d’altra parte, all’altra estremità, l’oggetto che il soggetto rigetta e che si distacca da lui. “Del pari tutto l’apprendistato dei riti e delle forme della pulizia consiste nell’insegnare al soggetto a recidere da sé ciò che rigetta. Nell’esperienza analitica comune facciamo essenzialmente del taglio la forma fondamentale dell’oggetto nelle cosiddette fasi orale e anale.” Ci sono qui anche alcuni prolegomeni degli altri oggetti: la voce e l’oggetto scopico, almeno nelle considerazioni sul fantasma perverso nell’esibizionismo e il voyeurismo.
Lacan si domanda cosa possono essere questi oggetti del fantasma se non oggetti reali. Lo fa con quella disinvoltura che gli è abituale, come se non fosse lui che per tutto il seminario, fino a quel momento, ha parlato di oggetto immaginario. 
È un nuovo orientamento del suo insegnamento: nota che questi oggetti reali hanno uno stretto rapporto con la pulsione vitale del soggetto, è un modo per cominciare a parlare del godimento. Sembrerebbe quasi, come nota appunto brillantemente Miller, che l’inizio e la fine del seminario non siano contemporanei: ciò ci mostra, una volta di più, come l’insegnamento di Lacan sia un work-in-progress continuo.
Nel corso di questo seminario la formula del fantasma, come il rapporto tra il soggetto diviso e l’oggetto immaginario dell’inizio, diventa, infine, il rapporto tra il soggetto e l’oggetto reale. Con tutte le conseguenze che comporta, ad esempio: l’interpretazione stessa viene rinnovata, il taglio sarebbe la modalità più efficace d’interpretazione, a condizione che non si faccia in modo meccanico. È anche il taglio a unire simbolico e reale, come all’inizio del seminario era il fantasma a collegare simbolico e immaginario.

Qui Lacan evoca il termine di Jones sulla castrazione: l’afanisi. È uno di quei termini che Lacan riprende spesso nel suo insegnamento, in quanto definisce bene la struttura del soggetto nel suo svanimento. A differenza dalla letteratura analitica dell’epoca, che sembra allontanarsi ogni volta di più del concetto di castrazione, Jones ne conserva il concetto, tuttavia mostrando una certa confusione. A parere di Lacan questa confusione sarebbe dovuta all’irrisoluta questione di Jones sui rapporti della donna con il fallo; tuttavia insiste sul tema della castrazione.
Ad ogni modo questo uso di Jones dell’afanisi - definita come sparizione, scomparsa - interessa Lacan soltanto nei termini della struttura del soggetto e non per l’utilizzo che ne fa questo autore, come svenimento del desiderio.
Si capisce che Lacan è interessato all’afanisi del soggetto perché deduce da essa una vera svolta dei rapporti tra soggetto e oggetto. Non è già il rapporto che viene ritenuto, per dire così, immanente alla pura dimensione della conoscenza, ma il rapporto del desiderio, che porrà comunque dei problemi più complessi com’è provato dall’esperienza freudiana (p. 116). In diversi momenti del suo insegnamento Lacan interroga la prospettiva della filosofia – che è anche quella della scienza – che fa del soggetto della coscienza il suo fondamento e oppone la prospettiva psicoanalitica, per la quale la dimensione del desiderio e del godimento non si possono elidere. Il soggetto, lontano dall’essere trasparente a se stesso, si costituisce nell’assoluta opacità da sé. Per la psicoanalisi l’inconscio è il fondamento del soggetto e lo svanimento del soggetto è perciò cruciale.

Lacan si sofferma a evocare in che senso si effettua questa incidenza concernente l’oggetto a su quello che potremmo chiamare la specificità istintuale del bisogno. Dice così (pp. 121-123): “Quando l’interposizione del significante rende impossibile il rapporto del soggetto con l’oggetto, ovvero quando il soggetto non può mantenersi in presenza dell’oggetto, sappiamo già che cosa succede: l’oggetto umano subisce quella specie di volatilizzazione che nella nostra pratica concreta chiamiamo la possibilità di spostamento.
Ciò non significa semplicemente che il soggetto umano, come tutti i soggetti animali, vede il proprio desiderio spostarsi di oggetto in oggetto, ma che lo spostamento è precisamente ciò per cui può mantenersi il fragile equilibrio del suo desiderio.”
Questo spostamento è, quindi, un modo di simbolizzare metonimicamente la soddisfazione. Il desiderio è sempre insoddisfatto e per la stessa ragione la dialettica della cassetta e dell’avaro ci porta direttamente alla significazione dell’oggetto. In questo caso una certa ritenzione dell’oggetto, come ci esprimiamo ricorrendo alla metafora anale, è la condizione perché sussista il desiderio ma solo nella misura in cui l’oggetto ritenuto, che fa da supporto al desiderio, non sia a sua volta l’oggetto di un godimento.
La fenomenologia giuridica ne reca le tracce. Quando si dice che si concede a qualcuno il godimento di un bene, cos’altro vuol dire se non per l’appunto che umanamente è del tutto concepibile avere un bene di cui non si gode, ma di cui gode un altro. L’usufrutto - come si chiama nel diritto - mostra la funzione di pegno del desiderio.
Gettando un ponte verso la psicologia animale, Lacan paragona la psicologia dell’avaro con l’attività dell’ippopotamo per salvaguardare il campo del suo pascolo. “Insomma, se l’ippopotamo preserva il suo pascolo con i suoi escrementi, l’uomo salvaguarda la propria merda come pegno del pascolo essenziale. È la dialettica di quello che chiamiamo simbolismo anale, una delle dimensioni assolutamente insospettate prima che l’esperienza freudiana ce la scoprisse - nuova rivelazione delle Nozze di chimo fra l’uomo e il suo oggetto.”
Il progresso realizzato dall’uomo dipende dal linguaggio, il quale fa intervenire nel nostro rapporto con l’oggetto la complicazione essenziale, inducendoci a intrattenere con l’oggetto un rapporto problematico. Dice anche che è lo stesso problema posto da Marx: come accade che gli oggetti umani passino da un valore d’uso a un valore di scambio?

Nel capitolo VII Lacan comincia a distinguere domanda e desiderio, questa contrapposizione gli serve per formulare una critica radicale alla psicoanalisi dopo Freud: lo slittamento, nella teoria e nella pratica, confluisce in una nozione generale di nevrosi di dipendenza che nasconde il fatto essenziale della domanda con i suoi effetti di oppressione del soggetto.
Il concetto stesso di sintomo è in gioco e Lacan si preoccupa di negare che sia semplicemente il retaggio della frustrazione concepita come una mancanza nella realtà. Lacan vuole strappare il concetto di frustrazione dal contesto empirista ed evolutivo nel quale era catturato, per farlo precisa che la frustrazione non è un insieme di esperienze vissute nel rapporto del soggetto con l’oggetto della realtà, nel quadro di un rapporto duale con l’oggetto, puramente immaginario, speculare.
Il soggetto sperimenta un danno immaginario ma anche situato a livello dell’io speculare non è questo circuito quello che determina l’operazione. La novità maggiore nella rilettura del concetto di frustrazione si trova nell’agente, concepito come Altro simbolico. Lacan critica anche la traduzione di Versagung come frustrazione. Dice che in tedesco significa piuttosto rottura della parole, annullamento, revoca di una promessa, una parola che non è intrattenuta da un Altro. Un Altro che non è immaginario ma simbolico.
Tra ciò che scopriamo effettivamente nell’analisi come conseguenza della frustrazione e, d’altra parte, il sintomo, c’è un’altra cosa ancora più complessa, che si chiama desiderio. Il desiderio non è il risultato di certe impressioni della realtà, ma lo si può comprendere nel nodo in cui per l’uomo si allacciano il reale, l’immaginario e il suo senso simbolico. 

Dopo la disamina sul “sogno del padre morto” e l’analisi sulla posizione dell’essere in difetto, questa minusvalenza soggettiva del padre segnala che non riguarda il fatto che egli sia morto, ma che sia colui che non lo sa. È così che il soggetto si situa di fronte all’altro. Non soltanto l’altro non sa di essere morto, ma Lacan aggiunge anche, che al limite, è importante non dirglielo. “Dopo tutto questa specie di protezione esercitata nei riguardi dell’altro si trova sempre, più o meno alla radice di ogni comunicazione fra gli esseri, dove c’è sempre ciò che si può e ciò che non si può fare sapere all’altro. Ecco un dato di cui dovete soppesare le incidenze ogni volta che avete a che fare con il discorso analitico”.
A partire da questa protezione necessaria rispetto all’altro, Lacan accosta un altro sogno, tratto dall’ultima pagina del Diario d’esilio di Trotsky. Questo sogno particolarmente commovente interviene nel momento in cui, forse per la prima volta, Trotsky comincia a sentire dentro di sé i rintocchi di un certo cedimento della potenza vitale, sempre così inesauribile in lui. Nel sogno gli appare il compagno Lenin. Costui gli fa capire che forse questa volta c’è in lui, Trotsky, qualcosa che non raggiunge quel livello anteriore. Ma davanti a questo vecchio compagno, Trotsky pensa a trattarlo con riguardo e in un modo che viene valorizzato da quell’ambiguità che c’è sempre nel dialogo. Volendo richiamare un ricordo che si riferisse precisamente al momento in cui l’impeto di Lenin era venuto meno, Trotsky gli dice, per indicargli il momento in cui era morto, “il momento in cui tu eri molto, molto malato”. Come se una formulazione precisa della situazione in cui versava potesse, con il suo soffio, dissolvere l’ombra che, nel suo sogno, si trovava di fronte alla stessa svolta dell’esistenza in cui Trotsky stesso si trovava.
Vediamo le stesse coordinate del sogno del padre morto. Se nella ripartizione fra le due forme esaminate del sogno l’ignoranza è imputata all’altro, come non vedere che, inversamente, c’è anche l’ignoranza del soggetto stesso, il quale non solo non conosce il significato del suo sogno, ovvero tutto ciò che è soggiacente al sogno e che Freud evoca – la sua storia inconscia, gli antichi auguri di morte rivolti al padre – ma, per di più, non sa qual è la natura del dolore al quale egli, il soggetto, partecipa in questa occasione? Cercandone l’origine abbiamo riconosciuta nel dolore che aveva provato, intravisto partecipando agli ultimi momenti del padre. Ma è anche il dolore dell’esistenza come tale, al limite in cui l’esistenza sussiste in uno stato in cui tutto ciò che di essa viene appreso è ormai il suo carattere inestinguibile e il dolore fondamentale che la accompagna quando da essa si cancella ogni desiderio, quando ogni desiderio è svanito da questa esistenza.
È precisamente in quanto prende questo dolore su di sé che il soggetto si fa cieco riguardo a quanto avviene in una prossimità immediata, e cecità rispetto al fatto che l’agonia e la scomparsa di suo padre sono qualcosa che minaccia lui stesso. Egli l’ha vissuto e se ne separa tramite quell’immagine rievocata. Tale immagine, l’oggetto a, lo separa da quella specie di abisso o vertigine che gli si presenta ogni volta che viene confrontato con l’estremo termine della sua esistenza, e lo ancora a qualcosa che placa l’uomo, ossia al desiderio.
 
A p. 133 vediamo che Lacan cerca di spiegare il fantasma come un rapporto puramente immaginario e per farlo si appella allo schema L. Aggiunge che nella misura in cui si iscrive nella dimensione della parola in quanto domandante, il soggetto si avvicina all’oggetto più elaborato: il fallo. Quell’oggetto non potrà raggiungerlo se non trovandosi egli stesso, come soggetto della parola, cancellato nell’elisione che lo lascia nella notte del trauma. In alternativa dovrà prendere il posto dell’oggetto, sostituirsi a esso e sussumersi sotto il significante fallico. Per  andare al di là di Jones, ma anche di Freud nella famosa controversia, Lacan deve definire il fallo come sottratto alla comunità immaginaria degli oggetti. La sua è una funzione privilegiata che ne fa il significante del soggetto.
Lacan discute su come un tipo d’analisi che riconducendo il soggetto continuamente al livello della domanda – cosa che in una certa tecnica si chiama analizzare le resistenze – finisca per ridurre quello che è il suo desiderio. Qui fa alcune considerazioni molto interessanti sul desiderio nella nevrosi ossessiva (nella p.137). Tutto ciò che nel soggetto si presenta come il compimento del suo desiderio è qualcosa di cui non si può domandare. L’ossessivo iscrive, formula il suo desiderio nel registro della domanda e Lacan aggiunge che “Noi possiamo ricostituirne i dettagli fino a ritrovare quelli che chiamerai i percorsi labirintici in cui si infila.”

Il fantasma “un bambino viene picchiato”

Prendiamo adesso il fantasma Un bambino viene picchiato come lo fa Lacan. Questo fantasma, Freud l’ha incontrato in un certo numero di soggetti prevalentemente femminili. Nella misura in cui la prima fase del fantasma arriva a essere rievocata, sia nelle fantasie, sia nei ricordi del soggetto, essa viene restituita come Mio padre picchia il bambino e si completa con l’espressione da me odiato. L’altro bambino viene qui rappresentato come sottomesso dalla violenza, dal capriccio del padre all’estremo scadimento, alla massima svalutazione simbolica, come assolutamente frustrato e privato di amore. L’odio mira al suo essere, si rivolge in lui a ciò che viene domandato al di là di ogni domanda, ossia all’amore.
Tra questa prima fase e la successiva devono avvenire profonde trasformazioni. Ed ecco come Freud esprime la seconda fase:

La persona che picchia è rimasta invero la stessa, vale a dire il padre, ma il bambino picchiato è diventato un altro, si tratta invariabilmente del bambino stesso che fantastica, la fantasia ha una spiccatissima accentuazione di piacere e si è riempita di un contenuto significativo. Il suo enunciato è ora il seguente “Vengo picchiato da mio padre”.

Ma subito dopo Freud aggiunge: Questa seconda fase è fra tutte la più importante e densa di conseguenze. Ma di essa si può dire, in un certo senso, che non ha mai avuto un’esistenza reale. In nessun caso viene ricordata, non è mai riuscita a diventare cosciente. È una costruzione dell’analisi, ma non per questo è meno necessaria.

Tuttavia, poiché essa sfocia in una terza fase, dobbiamo proprio ritenerla necessaria.
La formula di questa seconda fase è la formula del masochismo primordiale.  Questo interviene precisamente nel momento in cui il soggetto, nella sua ricerca, si trova vicinissimo alla sua realizzazione di soggetto. Più tardi, quando parlerà dell’operazione di separazione, Lacan dirà che la prima offerta del soggetto sarà la sua sparizione.
Tra la prima e la seconda fase è avvenuto qualcosa di essenziale: il  soggetto ha visto l’altro precipitare dalla dignità di soggetto, di rivale. L’apertura che si è così originata gli ha fatto intravedere che è in questa stessa possibilità di annullamento soggettivo che risiede tutto il suo essere in quanto esistente. Qual è l’essenza del fantasma masochista? Consiste nel fatto che egli viene trattato come una cosa, che si mercanteggia, si vende, si strapazza, viene annullato in ogni possibilità augurale di cogliersi come autonomo. Viene trattato come un cane, ma non come un cane qualsiasi, come un cane che si maltratta, anzi, come un cane già maltrattato.
Questo perno della seconda fase che noi possiamo soltanto supporre, è anche la base di trasformazione a partire dalla quale il soggetto cercherà di entrare nell’ultima fase, per trovarvi il punto di oscillazione della sua posizione, ossia la $.
Nel terzo momento, la formulazione è impersonale. Chi picchia? Il soggetto rimane evasivo. Solo dopo una certa elaborazione potrà ritrovare una determinata figura paterna nel suo fantasma.
Quanto a quello che viene picchiato non è meno difficile da afferrare. È molteplice: molti bambini.
Uguali incertezze regnano a proposito della posizione del bambino che ha questo fantasma. Senza dubbio prende parte al fantasma nella misura in cui è lui a produrlo. Ma in definitiva non si situa da nessuna parte in maniera precisa.
Dov’è l’affetto accentuato? È spostato sull’immagine fantasticata del partner, non tanto in quanto viene picchiato, ma in quanto verrà picchiato o in quanto non sa come verrà picchiato. Questo permette a Lacan di approssimare questo momento e l’angoscia, al considerare in modo diverso la perdita pura del soggetto nella indeterminazione con l’avvenimento del soggetto dinanzi al pericolo.
Dove si trova in fin dei conti il soggetto? Sarebbe facile dire che si trova tra i due, ma è talmente tra i due da illustrare in modo esemplare il ruolo dello strumento: nel fantasma di fustigazione è la frusta.
In effetti lo strumento interviene frequentemente come il personaggio essenziale nella struttura immaginaria del desiderio. È proprio sotto questo significante, qui assolutamente svelato nella sua natura di significante, che il soggetto si abolisce nella misura in cui si coglie nel suo essere essenziale.
Veniamo infatti ricondotti a questo stesso crocevia ogni volta che ci si presenta la problematica sessuale. Nella donna questa ha come punto cardine la fase fallica. Il punto centrale è il rapporto fra l’odio della madre e il desiderio del fallo. È da qui che Freud fa procedere l’esigenza fallica che interviene per il maschio alla risoluzione dell’Edipo e per la femmina all’inizio dell’Edipo.
Questo desiderio del fallo vuol dire desiderio mediato dal fallo.
All’orizzonte c’è la prima identificazioni con l’Altro, ovvero l’identificazione con le insegne dell’Altro. Essere il fallo dell’Altro, nel caso la madre.
Lacan utilizza le immagini dello specchio concavo e di quello piano per metaforizzare la via speculare attraverso la quale il soggetto cerca nel fantasma di raggiungere il suo posto nel simbolico. Ma questi schemi sono soltanto strumentali, la $ è qualcosa di diverso da un occhio.
Di fatto si tratta di una certa riflessione che viene fatta con l’aiuto delle parole nel corso del primo apprendimento del linguaggio, grazie alla quale il soggetto impara a sistemare alla giusta distanza le insegne in cui si identifica.
Il fallo è occupato altrove nella funzione significante. Di fronte all’altro il soggetto si identifica con il fallo, ma quando è in presenza del fallo, egli si riduce in frammenti. Basti pensare a quel che si produce nel rapporto, anche quello più appassionato, tra un uomo e una donna.
Nell’uomo il desiderio si trova al di fuori della relazione amorosa. La forma più compiuta di tale relazione presuppone in effetti che il soggetto dia ciò che non ha: è questa la definizione dell’amore. La forma ideale del desiderio, se così posso dire, è invece realizzata in lui nella misura in cui egli ritrova il complemento del suo essere nella donna, in quanto lei simbolizza il fallo.
Nell’amore l’uomo è veramente alienato nell’oggetto del suo desiderio, nel fallo. Nell’atto erotico questo stesso fallo riduce la donna a essere un oggetto immaginario. Ecco perché anche nella relazione amorosa più profonda viene mantenuta nell’uomo la duplicità dell’oggetto: la madre/la puttana.
D’altra parte, il rapporto della donna con l’uomo che ci si compiace di credere molto più monogamico, presenta nondimeno la stessa ambiguità, salvo che la donna trova nell’uomo il fallo reale. Ma, nella misura in cui la soddisfazione del desiderio si produce sul piano reale, l’amore della donna, non già il suo desiderio, si trasferisce su un essere il quale è al di là dell’incontro con il desiderio, vale a dire sull’uomo in quanto è privo del fallo, sull’uomo in quanto per la sua natura di essere compiuto, di essere parlante, è castrato. Nello scritto Appunti direttivi per un Congresso sulla sessualità femminile Lacan propone un’altra duplicità per le donne: l’uomo desiderato/l’incubo ideale che s’incarna nell’amante castrato o nell’uomo morto (o entrambi).


Redazione di Alberto Tuccio

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