martedì 23 gennaio 2018

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 10 giugno 2017. Docente invitato: Florencia Shanhan

Testo di riferimento: Jacques Lacan, Il seminario. Libro X. L'angoscia, Einaudi 2007.




     I. Introduzione

Nell'accingermi a preparare la conferenza di oggi mi sono chiesta quale sia il rapporto tra il tema di questo seminario e la situazione attuale. Mi piacerebbe partire da qui per affrontare la questione da tre punti di vista.
Primo: in che tipo di mondo viviamo? Non c'è dubbio che lo si possa definire l'impero dello sguardo. Definizione che può essere correlata a ciò che Jacques-Alain Miller (d’ora in avanti JAM) chiama “l'ascesa allo zenith del sociale dell'oggetto a”. Basta solo accendere la TV per farsi un'idea di quello di cui sto parlando. Che cos'è tutta questa spazzatura che ci scruta costantemente dallo schermo televisivo? A che tipo di invasione stiamo assistendo in termini di show televisivi popolari? Si tratta di spettacoli intimamente collegati alla funzione dell'oggetto e del corpo: accumulatori compulsivi, tatuaggi, chirurgia plastica, deformità. Un'esibizione universale che ci spinge a ripensare le nozioni cruciali lacaniane quali finzione, sembiante, verità.
Secondo: come si manifesta la sofferenza a noi psicanalisti? Ci troviamo davanti a disturbi d'angoscia mai visti sino ad ora. Tuttavia di cosa stiamo parlando quando parliamo di angoscia? Non mi addentrerò nella dimensione problematica della traduzione di termini tedeschi e freudiani. Ma sarebbe auspicabile che li aveste in mente. Potremmo affermare che la sofferenza si manifesta tra due diverse polarità: il polo della schiavitù dal godimento, in cui il soggetto è nella posizione di essere servo di un oggetto (tutte forme di dipendenza) e il polo della padronanza assoluta (di cui l'anoressia è il paradigma, ma lo è anche la psicoterapia come ideologia). La Depressione come segno dei nostri tempi colora pervasivamente l'intero spettro. C'è una sorta di caduta generalizzata del desiderio accompagnata nei casi migliori dalla mancanza di speranza, e, nei peggiori, da una forma di cinismo che sfocia nella canaglieria. Tutto ciò esige un aggiornamento della nozione di inconscio inteso sia come sapere rimosso sia come supposto sapere. I tipi di richiesta che riceviamo nei nostri studi privati come nelle istituzioni non sono indipendenti dalla situazione che connota la nostra società.
E infine, dato che sempre meno ci capita di incontrare soggetti con sintomi strutturati simbolicamente in relazione all'Ideale, sotto forma di un conflitto riferito a ciò che Lacan definisce nel suo seminario le “morti finali del desiderio”, siamo minacciati dalla questione di cosa costituisca la specificità della prassi analitica e del suo discorso al giorno d'oggi. Per parafrasare E. Laurent “parole e corpi divengono entità separate nell'attuale disposizione dell'Altro della civilizzazione”. Laddove Freud scoprì l'annodamento tra le parole e il corpo, sotto forma di quello che definì il sintomo, attualmente assistiamo a una crescente disconnessione, sia sul piano soggettivo sia nei discorsi dominanti o egemonici. Non possiamo non porci questa domanda, dato che in questo stesso seminario Lacan definisce molto chiaramente quale sia lo scopo dell'analisi (p.259): “l'analisi si è sempre posta come fine - e tutt'ora è così - quello di svelare il desiderio”.
Al fine di collegare l'obiettivo dell'analisi con la costituzione del soggetto stesso, così come viene percepito attraverso l'esperienza analitica, Lacan cercherà di riarticolare nel suo seminario tre nozioni: la domanda dell'Altro, il desiderio dell'Altro, e il godimento dell'Altro.
Nel seminario successivo, l'undicesimo, Lacan aggiungerà a questi concetti la dimensione della conoscenza dell'Altro.
Al giorno d'oggi ciò che prevale è il corto circuito della dimensione della conoscenza. Da ciò deriva la crescita dell'angoscia. All'aumento dell'angoscia corrisponde quella dell'oggetto. Ma vedremo come l'oggetto del consumo, i tre oggetti dimensionali che ci accompagnano nel nostro quotidiano, con cui ci riempiamo, sono precisamente, in quanto causa di desiderio, quelli che otturano e bloccano il funzionamento dell'oggetto a.
Non possiamo certo affermare che gli sforzi di Lacan per formalizzare in questo seminario le relazioni tra corpo e linguaggio ci forniscano la chiave per accedere all'imperativo del godimento, all'istinto di morte, a quell' “ordine di ferro” con cui ci confrontiamo al giorno d'oggi, ma in ogni caso questa è la nostra scommessa.


II.  Il seminario

Il seminario X si divide in quattro parti:
Introduzione alla struttura dell'angoscia/Revisione dello statuto dell'oggetto/L'angoscia tra godimento e desiderio/Cinque forme dell'oggetto a piccolo che include 8 capitoli; Le palpebre di Buddha/La bocca e l'occhio/La voce di Yahweh/Ciò che entra dall'orecchio/I cinque livelli nella costituzione dell'oggetto a/Il rubinetto di Piaget/ Dall'anale all'ideale/Da  a ai- Nomi-del-Padre.

     Quali sono i termini fondamentali?
Angoscia/Oggetto/Desiderio/Soggetto/Altro/Godimento

     Quali le definizioni sinora?
Angoscia segno di desiderio/Angoscia è ciò che non inganna/non c'è angoscia senza un oggetto/Angoscia come segnale del Reale

Definizione dell'oggetto a : ciò che resta della divisione nel campo dell'Altro attraverso la presenza del soggetto. Alla nascita non si è ancora soggetti parlanti: si è individui in quanto con un organismo e un corpo, ma non si è ancora soggetti parlanti. C'è una costituzione circolare dell'oggetto che non è cronologica ma logica. Ciò che accomuna tutte le forme e gli stadi dell'oggetto è la funzione che esso svolge: la ricerca di Lacan è quella di stabilire come ciascuno sia collegato alla costituzione del soggetto nel luogo dell'Altro e come lo rappresenti.

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Sappiamo che Freud ha elencato una serie preliminare di questi oggetti, identificandone tre: seno, escrementi e fallo a cui aggiunse come sottocategoria denaro e prole - che corrispondono ai cinque parametri di perdite, i cinque oggetti pulsionali. Come sappiamo l'insegnamento di Lacan si sviluppa in parte criticando come i concetti di Freud siano stati ripresi dai postfreudiani, in particolare da coloro che cercarono di vedere nel suo lavoro una teoria dello sviluppo. Già nel 1956 Lacan dedicò un intero seminario, il IV, a ri-situare la nozione dell'oggetto in psicoanalisi.
Ma se a quel punto ciò che era in palio era una robusta dimostrazione che la relazione oggettuale conta più della relazione del soggetto umano con tutte le possibili forme di “perdita” o “assenza di oggetto” (nella privazione della triade, nella frustrazione e nella castrazione) in accordo con i tre registri dell'esperienza, Reale, Immaginario e Simbolico, a questo punto del suo insegnamento nel  seminario X c'è qualcosa di diverso in gioco. Potremmo dire che da qui in poi l'oggetto inizia a recuperare la sua consistenza, che non sarà fisica ma logica.
Dopo aver chiarito lo stato dell'oggetto in quanto immaginario nelle relazioni dell'Ego con l'altro piccolo, l'identificazione fondamentale con l'immagine nella loro costituzione nel campo speculare in quello che viene definito stadio dello specchio, separandolo dalle identificazioni proprie dell'agganciamento del soggetto alla catena dei significanti tramite S1, i tratti unari dei significanti padroni sotto i quali il soggetto crede di rappresentarsi, Lacan ora sposta l'attenzione in modo del tutto diverso sul reale del corpo e sulle dinamiche della pulsione. Come fa un organismo a trasformarsi in un corpo? Prima la risposta era: totalmente attraverso il linguaggio. Ma anche se l'Altro è simbolico, è linguaggio pre-esiste al soggetto, la domanda è che cosa avviene nelle vicissitudini dell'incarnazione di questo astratto Altro dall'Altro nella realtà, incarnato in una presenza soggettiva attraverso la cura primordiale o la sua mancanza?
Differentemente dal primo periodo del suo insegnamento Lacan, qui - citando JAM - l’oggetto “non appare come il prodotto di una struttura articolata, ma come il prodotto di un corpo frammentato. Senza dubbio questi oggetti rispondono a una struttura comune, una struttura del bordo, una struttura di tagli che ora si sono radicati nel corpo”.
Consentitemi ora una digressione: possiamo affermare che esistono almeno tre teorie del corpo nell'opera di Lacan:
a)      la prima è quella del corpo speculare costruito attraverso le norme dell'Ego Ideale, il cui fondamento poggia sulla principale legge che lo regola, vale a dire il Nome del Padre. Qui siamo nel campo della clinica strutturale. Ma anche qui troviamo una clinica del corpo: il corpo frammentato dello schizofrenico, la moltiplicazione delle immagini dell'individuo nella paranoia, la dissoluzione immaginaria nell'isteria dove il corpo è sensibile alle metafore, alle metonimie etc. Questa è la clinica della legge fallica in quanto organizzatrice del corpo: ciò che è chiaro nell'analisi lacaniana della fobia come mappa del corpo minacciato dalla castrazione e anche nella sua analisi della perversione come modalità di produrre il fallo immaginario per rinnegare la minaccia stessa.
b)      la seconda, che corrisponde al seminario su cui stiamo lavorando, riguarda il corpo dove l'armonia delle leggi simboliche e immaginarie è scosso dall'introduzione del Reale nella forma dell'oggetto a.  Si tratta di un corpo topologico con un buco centrale che ha un bordo - la zona erogena di Freud - attorno a cui è costruita la superficie del corpo. Solo quando questa superficie è creata può avvenire l'identificazione speculare. A questa operazione se ne aggiunge un'altra simbolica: la castrazione che consiste nella simbolizzazione del buco in quanto mancanza e che dà al corpo una certa unità. Qui ci troviamo nel campo della clinica delle nevrosi, dove la relazione tra corpo e angoscia si gioca allo scoperto e delle psicosi dove la relazione tra oggetto e immagine è in posizione preminente.
c)      la terza corrisponde al più recente insegnamento lacaniano e riguarda la clinica dell'evento di corpo. Qui ciò che è primordiale non è l'immagine speculare, né il buco topologico, ma lalangue e l'incidenza del godimento Uno sulla sostanza vitale. L'inconscio viene definito come “il mistero dell'essere parlante”. Non approfondirò oggi questo argomento, ma è importante sottolineare come molte definizioni e affermazioni nel seminario X che possono sembrare certe o definitive in realtà cambino. Anche molte delle impasse e delle questioni irrisolte troveranno una loro riformulazione soltanto dieci o quindici anni dopo.


  1. Le palpebre di Buddha

Nell'ultima parte del seminario X all'inizio Lacan ritorna alle citazioni sulla circoncisione per ricordare che “qui si tratta proprio di una relazione permanente con un oggetto perduto in quanto tale. L’oggetto a in quanto tagliato presentifica una relazione essenziale con la separazione” (p. 231).
Lacan in questo seminario tocca diversi punti: le tre grandi religioni, Ebraismo, Cristianesimo e Buddhismo e ognuna nella sua specifica forma viene utilizzata per illustrare aspetti della dialettica del desiderio nella costituzione del soggetto (e dell'esperienza dell'angoscia). Nelle prime due metà del seminario vediamo come l'angoscia viene pensata in relazione a un determinato incontro col desiderio dell'Altro; un'esperienza limite e un segnale del confine dell'ego. In questa seconda parte del seminario l'angoscia viene considerata come una modalità di difesa dal godimento.
L'angoscia verrà esaminata nelle diverse forme assunte in relazione ai tipi di oggetto parziale, l'oggetto a. La separazione da una specifica parte del corpo sta a simbolizzare per il soggetto ora alienato la relazione fondamentale col suo corpo.
Come detto, le cinque forme dell'oggetto a sono inserite in un unico elenco perché hanno in comune almeno una caratteristica: la loro funzione. Lacan concepisce l'idea che per il parlêtre ci sia una funzione d'oggetto. A differenza degli oggetti che conosciamo, quelli che possiamo condividere, scambiare etc., nella psicoanalisi lacaniana l'oggetto a non è una cosa, ma una funzione.
Lacan nel capitolo VII di questo seminario dice che “questo oggetto lo indichiamo con una lettera. La notazione algebrica ha una sua funzione. È come un filo designato a permetterci di riconoscere l'identità dell'oggetto nelle diverse incidenze con cui ci appare”. La tesi di Lacan è che la funzione causale negli esseri umani è collegata alla categoria dell'oggetto, dato che Lacan ritiene che sia proprio la nozione di causa che il discorso scientifico chiaramente svela. Al posto della causa la scienza valuta connessioni significative, correlazioni, leggi e equazioni. La causa è una funzione che riveste una grande importanza nell'apprendimento spontaneo, la conoscenza del linguaggio corrente, perché è la causa che prende il posto del buco, del vuoto o dell'assenza che è di per sé la caratteristica del desiderio. In tal modo esiste di base uno stato di insoddisfazione del desiderio. C'è un buco. A livello conscio lo definiamo causa. È così che definiamo il buco: la causa di (il “perché?” dei bambini). La causa è ciò che appare nella separazione tra le parole e ciò che è reale. Come se l'oggetto a non potesse essere definito senza includervi la sua caratteristica fondamentale: quella di essere perduto. “È una porzione di noi stessi che viene catturata nella macchina e non può essere recuperata. Come oggetto perduto, ai diversi livelli dell'esperienza corporea in cui si verifica, è il sostegno, il substrato autentico di qualsiasi funzione della causa”.
La vera e propria nozione di inconscio dipende da questo buco, da questa impossibile coincidenza tra la coscienza che conosce e l'oggetto della conoscenza. Dietro al fallimento della conoscenza, del soggetto della conoscenza che sta a indicare lo spazio vuoto dove la causa mente, c'è quest'altro oggetto e il suo correlato: l'angoscia. Questo oggetto è parziale. L'angoscia come correlato dell'oggetto è un'esperienza affettiva sperimentata nel corpo; e questa esperienza è caratterizzata, come dice Lacan, da una certezza radicata e assolutamente non ambigua.
Nella dialettica della causa che costituisce l'origine della vita del soggetto, il corpo non partecipa nella sua totalità, ma interviene come una parte, una parte separata “in virtù del coinvolgimento nella dialettica significante, c'è sempre nel corpo qualcosa che è sacrificato, inerte... la libbra di carne.”  È la libbra di carne che il soggetto paga come prezzo della sua umanizzazione, per poter trovare il suo spazio nel campo dell'Altro. “Il resto è ciò che sopravvive all'ordalia della divisione del campo dell'Altro attraverso la presenza del soggetto”. Questo resto è ciò che sopravvive alla prova dell'incontro del soggetto con il puro significante. Divenendo un soggetto desiderante attraverso questo taglio, assoggettandosi a una legge che governa l'economia del desiderio, il soggetto mantiene sempre questa relazione con l'oggetto perduto, quella parte di noi stessi del nostro essere vivente, del nostro “corpo” in quanto contiguo al reale a cui abbiamo rinunciato, perdendolo, proprio per incontrare il simbolico in quanto esseri parlanti.
Per Lacan questo è il senso e il significato del complesso di castrazione: una perdita immaginaria sostituita da una perdita simbolica. L'angoscia separa e mantiene una distanza tra il desiderio e il godimento e tuttavia allo stesso tempo indica il secondo (il godimento) come un segnale di quel resto e della relazione col reale dopo che il taglio del significante situa il soggetto nell'ordine simbolico. La questione principale qui verte sul fatto che l'Altro è Altro perché c'è un resto: l'oggetto a. Quando ciò non avviene, quando il soggetto rifiuta di dividere l'Altro, l'Altro è Uno e il soggetto tiene l'oggetto in tasca. Una delle conseguenze sarà che la conoscenza non verrà pensata come a un soggetto nella scena dell'Altro: l'effetto prodotto sarà una certezza diversa dall’ dell'angoscia, propria alla psicosi e correlativa al rifiuto dell'inconscio in quanto tale.
Allo scopo di approfondire la sua spiegazione Lacan confronterà la tradizione cristiana con quella buddista. Egli afferma che cercherà di descrivere qualcosa sulla funzione del desiderio, riportando la sua esperienza nel corso di un viaggio in Giappone avvenuto nello stesso anno. Nel 1971 Lacan tornerà in Giappone (per tenere un seminario e partecipare alla presentazione della prima traduzione di alcuni suoi Ecrits in giapponese). Al suo ritorno Lacan teorizzò che la scrittura ideografica giapponese avesse una funzione paragonabile a quella di un litorale tra conoscenza e godimento (Lituraterra, in J. Lacan, Altri Scritti, Einaudi, Torino, 2013). Un modo nuovo di capire cosa può essere recuperato e come, attraverso la scrittura, della funzione di scarto o resto dell'oggetto a. Ma ciò avviene molti anni dopo, quando la concettualizzazione del soggetto si è avvicinata al parlêtre e al sinthomo (vedi la terza clinica del corpo citata precedentemente).
Ci sia consentito dire che a questo punto Lacan si serve del buddhismo per parlare dell'oggetto sguardo, mentre si rifà all'esperienza talmudica per affrontare il tema dell'oggetto voce (Shofar). Lacan si chiede: quale principio regola la pratica del buddhismo? Il desiderio è illusione. Non ha né supporto né sbocco né scopo. Ciò ovviamente se rapportato a quella che vorrebbe essere una verità definitiva. Tuttavia Lacan afferma che nel buddhismo questo viene scritto in una specifica forma di negazione: il che implica che ciò non può essere identificato con una riduzione a qualcosa di insignificante. Si tratta di una forma di “non avere” sia dall'oblatività dell'ossessivo (ti ho dato tutto, tutto per l'Altro) sia dal godimento da privazione tipico del soggetto isterico: proprio al punto in cui potrei raggiungere la soddisfazione, svengo, scappo, rinuncio, sparisco. Non riconosco questo comportamento come dovuto al mio volere, lo attribuisco all'Altro - più spesso all'altra donna.
Come fa l'oggetto a entrare nella dialettica del desiderio? Non più come il riflesso o il doppio del soggetto né come la proiezione immaginaria di ciò che uno è, ma piuttosto come quello che mi era stato strappato via (tagliato): le conseguenze cliniche riguardano le varie direzioni che il soggetto intraprenderà per recuperare ciò che gli è stato tolto.
Le palpebre della statua lignea sembrano essere state speciale oggetto di venerazione. Mentre la maggior parte delle statue buddiste ha sempre una fessura come occhio che lo rende né chiuso né mezzo chiuso, ma in una particolare posizione dovuta alla pratica meditativa, in questa statuta di legno, che sta descrivendo, non si può osservare nessuna fessura dell’occhio: “ha semplicemente a livello degli occhi una cresta aguzza” (p. 247) che dà solo l’impressione, grazie al riflesso del legno, della presenza, sottostante, di un occhio ammiccante.
In che senso allora il desiderio è illusione? Nel senso che “è sempre indirizzato altrove, a un resto costituito dal rapporto del soggetto all'Altro”. Si noti qui che il punto di cambiamento, il cambio di rotta verso qualcosa al di sotto della dialettica del desiderio è annunciato. Ecco perché Lacan insiste che “a ogni stadio nella strutturazione del desiderio, se vogliamo capire che cosa è coinvolto nella funzione del desiderio, dobbiamo verificare quello che definisco il punto di angoscia”. Ciò significa, tra l'altro, che il desiderio e specialmente la posizione del soggetto desiderante, non possono essere spiegati pienamente attraverso la sua produzione dal Simbolico e dall'Immaginario nella struttura del linguaggio.
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Il Punto di Angoscia

Questo capitolo termina con l'annuncio di ciò che sarà coinvolto in ogni stadio:
·         Nello stadio orale c'è una certa relazione tra la domanda e il desiderio velato della madre.
·         Nello stadio anale la domanda della madre si manifesta come desiderio.
·         Nello stadio della castrazione fallica appare il -phi, fa ingresso la negatività con particolare riferimento allo strumento del desiderio quando il desiderio sessuale in quanto tale si manifesta nel campo dell'Altro.
Ma Lacan aggiunge che “il processo non si ferma a questi tre stadi. Perché? Perché al suo limite dobbiamo interfacciarci con la struttura dell'oggetto a in quanto qualcosa di separato.”
La questione fondamentale verso la quale Lacan cerca di condurci a questo punto è: come può avvenire che dal livello di castrazione si giunga al miraggio dell'oggetto del desiderio? O per metterla in termini diversi, come può qualcosa di ciò che si è perduto nella strutturazione del desiderio attraverso la perdita dell'oggetto essere recuperato come desiderio. Questa è la domanda cruciale che ha delle implicazioni per la concezione lacaniana della fine dell'analisi intesa sia come suo fine sia come suo termine.


    II.  La bocca e l'occhio
 
C'è un abisso, una distanza, tra la mancanza e la funzione del desiderio nell'azione strutturata dal fantasma (fondamentale) e dalla vacillazione del soggetto nella sua relazione con l'oggetto parziale. C'è una non coincidenza (un'impossibilità di far coincidere due buchi) che genera angoscia; e, per giunta, l'angoscia è l'unica evidenza che ci consente di avvicinarci alla verità di questa perdita. Ecco perché a questo stadio nella strutturazione del desiderio, se si vuole comprendere ciò che è coinvolto nella funzione del desiderio, si deve situare quello che Lacan chiama il punto di angoscia.
In tal modo Lacan cerca di individuare il punto dove è avvenuto il taglio prodotto nello sviluppo dell'organismo che diverrà l'essere umano; egli cerca di fare ciò guidato da due precedenti domande.
Anche se la fase orale risulta cronologicamente originaria, come mai è strutturalmente originaria? Per quale motivo si deve ricondurre ad essa l'eziologia di tutti gli inceppamenti e anomalie che incontriamo nella strutturazione del desiderio?
Nel leggere questo seminario vedrete come Lacan fa riferimento continuo alla biologia, all'etologia, alla fisiologia, nell'affrontare queste tematiche. Già qui egli fa uso della fisiologia nell'ordine dei mammiferi per fare un'analogia tra lo svezzamento e la separazione alla nascita. Ciò verrà riformulato nell'ultimo capitolo del seminario. Il lattante ha con la mammella un rapporto analogo a quello con la placenta: Lacan definisce questo rapporto di tipo parassitario e ambocettivo (semiparassitario). Soltanto quando l'Altro primordiale diventa soggetto, si apre la possibilità della soggettivazione.
Ecco perché Lacan può affermare che, in relazione all'oggetto ambocettore che è il seno, l’unità indifferenziata dell'oggetto ambocettore e del seno, il punto di angoscia è a livello della madre. “Nel bambino l'angoscia della mancanza della madre è l'angoscia del prosciugamento del seno. Il luogo del punto di angoscia non si confonde con il luogo in cui si stabilisce la relazione con l'oggetto del desiderio”.
La mammella diverrà in seguito un oggetto fantasmatico; ma il punto di angoscia per quel che riguarda la pulsione orale, il punto in cui il soggetto si rapporta con la sua mancanza è “deportato”/collocato nel campo dell'Altro. A livello della pulsione orale il punto di angoscia si situa nell'Altro (perché il soggetto dipende dall'esistenza della madre: nella domanda all'Altro).
Come distinguere tra punto del desiderio e punto d'angoscia? C'è una separtizione fondamentale: non separazione, ma partizione all'interno, su cui si baserà la strutturazione del desiderio e, in rapporto a ciò, il punto di angoscia che si collocherà nel corpo della madre.
Questo è quanto Lacan ci anticipa: nello stadio orale c'è una relazione tra la domanda e il velato desiderio della madre. Tuttavia sarà – logicamente - possibile un rovesciamento di questa relazione tra il punto di desiderio e quello di angoscia soltanto con l'accesso alla fase fallica e della castrazione.
Freud aveva già scoperto l'equivalenza tra orgasmo e alcune forme di angoscia, l'erotizzazione di situazioni angoscianti o, al contrario, la possibilità di avere un orgasmo all'apice di una situazione angosciosa. Ciò che si trova nell'orgasmo è la certezza legata all'angoscia.
Ed è proprio per questa ragione che Lacan afferma che l'orgasmo non viene raggiunto così comunemente. L'omologo del punto di angoscia orale è l'orgasmo stesso come esperienza soggettiva.
A questo punto dobbiamo riflettere sulla certezza che definisce l'atto in senso psicanalitico (non l'acting out né il passaggio all'atto) ma l'atto (che è sempre privo di garanzia, senza l'Altro) e per mezzo del quale il soggetto acconsente ad attraversare il punto di vacillazione di ciò che egli è nel suo fantasma – il suo dissolversi come soggetto simbolico e la riduzione al suo stato di oggetto.
Il nevrotico per definizione è colui che si mantiene a distanza dal suo agire: evitando l'atto, procrastinando, posponendolo, cortocircuitandolo per mezzo di falsi agiti, annullandolo, o sottraendo il corpo all'atto stesso. In tal modo Lacan ci indirizza verso il seguente problema: se il desiderio è illusorio poiché si rivolge sempre altrove, a un resto, dove si può trovare la certezza? Lacan afferma: “Nessun fallo permanente, nessun fallo onnipotente, è tale da chiudere in modo pacificante la dialettica del rapporto del soggetto con l'Altro e con il Reale”. Qui Lacan ritorna al problema dell'analisi terminabile e interminabile e all'impasse costituita dal complesso di castrazione di Freud, per arrivare ad affermare categoricamente che la funzione dell'inganno, dell'illusione sottesa alla dialettica del desiderio non è affatto l'ultima parola e non è il punto in cui l'analista dovrebbe indietreggiare definendolo un confine o anche un limite.


  1.  La voce di Yaveh

A causa dell'esperienza dell'angoscia ci siamo trovati nella necessità di aggiungere all'oggetto orale, anale e fallico – ciascuno generatore e correlativo di un determinato tipo di angoscia – altri due livelli dell'oggetto (occhio/sguardo e orecchio/voce).
Tra voce e sguardo non c'è un contrasto strutturale.
Nel campo spaziale, attraverso la formula i(a), la mia immagine, la mia presenza nell'Altro non ha resto. Non posso vedere cosa perdo in questo campo.
Ogni qualvolta il desiderio è proiettato nell'immagine, la castrazione viene elisa a livello del desiderio. Ma la forma scopica dell'oggetto a, quella connessa al desiderio scopofilico, è ciò che manca, non è speculare, non ha riflesso e non può riflettere. È precisamente ciò che non entra nello specchio: la macchia, l'occhio bianco del cieco, un rattoppo. È nel campo visivo - dove abbiamo a che fare con sembianti, apparenze – che l'oggetto a si trova al suo grado zero, e in tal modo il desiderio visivo maschera l'angoscia di ciò che manca essenzialmente al desiderio.
“Il rapporto reciproco del desiderio con l'angoscia si presenta, a questo livello specifico, in una forma radicalmente mascherata, che è legata alle funzioni più illusorie della struttura del desiderio.”
Che dire del campo speculare e della dimensione dello sguardo che Lacan ha introdotto già nella prima parte del seminario? L'occhio è quello che porta nel campo visivo gli oggetti esistenti, tuttavia lo sguardo è qualcosa di diverso. Il mondo visibile dipende dall'occhio di chi vede, tuttavia  questo occhio è in una posizione di dipendenza da qualcosa che precede i nostri occhi, che consiste nella pre-esistenza dello sguardo.
Qui Lacan distingue tra vedere e essere visti “vedo solo da un punto, ma nella mia esistenza vengo guardato da tutti i lati”. L'aspetto del vedere che rimane in effetti dopo l'operazione della castrazione simbolica, resta legato alla pulsione in quanto reale mancanza. Lacan afferma “l'occhio e lo sguardo – questa è la divisione in cui la pulsione si manifesta a livello del campo scopico”. Lo sguardo è invisibile all'occhio, tuttavia lo circonda e lo incorpora. È questo che in relazione agli oggetti invisibili è eluso e che tuttavia opera come causa del desiderio nel campo visivo. Lacan sottolinea che innanzitutto noi siamo guardati, siamo dapprima oggetto dello sguardo nello spettacolo del mondo e che il fatto di “essere guardati da ogni angolazione” è cancellato dalla vita che si risveglia quando l'occhio fisico funziona in rapporto agli oggetti visibili, tuttavia questa esperienza dello sguardo può ritornare potentemente nei nostri sogni. Lacan riassume la sua interpretazione della funzione dello sguardo attraverso due aforismi che determinano la relazione del soggetto con lo sguardo o l'effetto dello sguardo sul soggetto: tu non mi guarderai mai dal posto in cui io ti vedo; e ciò che io guardo non è mai ciò che voglio vedere. Nel contemplare una rappresentazione, sia un dipinto sia una scultura o altro oggetto di arte plastica, l'occhio cerca di rilassarsi dallo sguardo, aldilà di tutte le apparenze non c'è questo “nulla” dello sguardo.
Qui la dimensione scopica della pulsione è la stessa funzione dell'oggetto a come quella da cui il soggetto si è separato dall'organo allo scopo di costituirsi come soggetto. Lo sguardo sostituisce il simbolo della perdita, il fallo, non in quanto tale, ma nella misura in cui avverte la mancanza attraverso l'operato della castrazione complessa. L'oggetto a è estremamente evanescente nella sua funzione di simboleggiare la perdita centrale del desiderio (-φ). L'oggetto a nel campo visivo corrisponde allo sguardo come opposto all'occhio. Nel campo visivo lo sguardo è fuori, io sono colui che viene guardato. La caratteristica dello sguardo consiste nel neutralizzare il difetto in noi stessi e nell'Altro. Di conseguenza si tratta di un oggetto particolarmente agalmatico che ci conduce alla contemplazione e ci libera dalla castrazione.
La voce, al contrario, quando la si prende in considerazione in quanto separata dall'uso che ne facciamo nel discorso o nella musica, vale a dire nella sua dimensione di oggetto di taglio, si situa precisamente agli antipodi dello sguardo. È lo shofar, questo corno a cui Lacan implicitamente si riferisce nei suoi Scritti “Sovversione del Soggetto” e che qui considera insieme allo studio di Theodor Reik. Lo shofar rappresenta la voce in un modo esemplare, staccato dal significante nella sua forma separabile. Stando all'interpretazione lacaniana dei testi biblici, lo shofar rappresenta la “voce di Dio”. Criticando l'uso di Reik del modello analogico, ciò che Lacan sta cercando di isolare qui è quello che egli chiama la “specifica dimensione vocale”. Vale a dire il (residuo) che rimane dall'operazione del discorso in quanto atto, quando il sistema formale che il linguaggio diviene si incarna nella pronuncia.
Ciò che resta di questa operazione e che Lacan chiama la “voce” come oggetto a, viene definito come “scarti, foglie morte, sotto forma delle voci smarrite della psicosi, come pure il carattere parassitario, sotto forma degli imperativi interrotti del Super-io” stanno a testimoniare.
Possiamo affermare che in qualche modo è questo che induce Lacan a piazzare lo sguardo e la voce alle estremità opposte dell'oggetto a. 
Lo guardo viene per primo perché esso annulla completamente la distanza dall'oggetto a. È il punto zero della distanza tra la mia imperfezione e quella dell'Altro. Al contrario la voce è il punto infinito che accresce la distanza tra la mia imperfezione e quella dell'Altro, e viene quindi interpretata attraverso la colpevolezza. Il comando, dice Lacan, a cui il soggetto è assoggettato, aldilà del contenuto, del muggito, viene collegato al ricordo, alla memoria e quindi alla ripetizione.


  1. Il fallo evanescente

Affronterò soltanto due punti per quanto riguarda questo capitolo. Nello specifico quello relativo a ciò che Lacan chiama “i resti morti del desiderio”. Questo è importante perché, nella clinica delle nevrosi, ciò che è in gioco (a repentaglio) è sempre una impasse riguardo al desiderio. Il primo sintomo che il soggetto porta è il suo ego: in altre parole, dice JAM, la delusione sulla sua identità. C'è un inciampo o qualcosa smette di funzionare e ciò è il segno che la risposta che è stata data alla dialettica del desiderio del soggetto si dimostra con l'Altro insufficiente, bloccata, spezzata, difettosa etc. C'è sempre qualcosa dell'ordine della vacillazione di una o più identificazioni quando una persona si rivolge a un analista. La delusione sulla propria identità significa che tutti i punti di riferimento di cui il soggetto si era servito per affermare una data idea di sé non hanno più alcun senso.
La domanda posta da Lacan in questo capitolo è: come fa l'oggetto a passare attraverso -phi? O per metterla in termini diversi: come fa l'oggetto, l'oggetto parziale della pulsione a essere connesso e incluso nella logica fallica? La risposta è: attraverso la castrazione. E come abbiamo già sentito molte volte in questo seminario, per la psicanalisi ogni angoscia è un'angoscia di castrazione. È per questo motivo che Lacan può affermare che il fallo immaginario (-phi) opera dovunque, attraverso tutti i livelli della relazione tra il soggetto e l'oggetto a.
In tutti gli stadi il fallo immaginario svolge una funzione mediatrice, eccetto, dice Lacan, nello stadio fallico (ad es. una notte fuori casa, un motteggio, flirtare, etc.). Per supportare questa idea Lacan riprende la scena primaria, cioè seguendo la modalità del girarvi attorno e riferendosi alla struttura propria del campo visivo. Nel caso dell'Uomo dei Lupi egli isola una doppia risposta del soggetto alla ricostruzione della scena fantasmatica: l'immagine dell'albero pieno di lupi in cui egli si identifica col fallo eretto rappresentato dall'albero; e l'atto della defecazione che Lacan mette in relazione con il punto di angoscia in cui qualcosa è dato, offerto, anche sacrificato all'Altro.
Riandando all'equivalenza introdotta nei capitoli precedenti tra orgasmo e angoscia, Lacan cerca di stabilire come ci sia – nell'istante dell'orgasmo - una minaccia alla difesa dell'Ego.
Avendo stabilito l'impossibilità di congiunzione tra il godimento dell'uomo con quello della donna, Lacan definisce il rapporto di angoscia con il fallo così: “Ed è proprio perché il fallo non realizza, se non nella sua evanescenza, l'incontro dei desideri, che esso diventa il luogo comune dell'angoscia” (p.282). La domanda principale è: che cosa viene richiesto dall'Altro nel rapporto sessuale?
Tali sono le vie in cui si presenta la realizzazione genitale, in quanto essa porrebbe un termine a quelle che potremmo chiamare le impasse del desiderio se non ci fosse l'apertura dell'angoscia. Ma l'esperienza analitica rivela qualcos’altro che è nella misura in cui viene chiamato come oggetto di propiziazione in una congiunzione in impasse che il fallo, rivelandosi mancare, costituisce la castrazione stessa come un punto del rapporto del soggetto con l'Altro che è impossibile aggirare.
A questo punto troviamo un'ulteriore indicazione della portata di ciò che questo seminario annuncia – come punto cardine - vale a dire la futura svolta del 1964 con la separazione da Freud e dal Nome-del-Padre: la castrazione non è più intesa come la conseguenza della minaccia paterna (la paura di perdere), ma piuttosto l'angoscia di castrazione è specificatamente indirizzata a una non-corrispondenza dei desideri, all'impossibilità di un oggetto che risolverà il desiderio del soggetto soddisfacendo contemporaneamente il desiderio dell'Altro. (L'imminenza della perdita attraverso cui l'oggetto sarà prodotto).
La protezione che la funzione del fantasma fondamentale nella manovra che il nevrotico sostiene consiste nel trasformare questa impossibilità nel “non essere capaci, in grado”, vale a dire in impotenza (o debolezza).


  1. Ciò che entra dall'orecchio

In questa lezione si torna a cercare di afferrare il fallo evanescente nella relazione tra i sessi. Sebbene Lacan non abbia ancora formulato la sua teoria “non esiste relazione sessuale”, qui notiamo come egli si separi definitivamente da Hegel e dal materialismo dialettico. Non è possibile alcuna sintesi. Ciò naturalmente significa, a livello di desiderio e godimento, che, a differenza di Freud, la sessualità è concepita da Lacan come un campo dove non c'è “integrazione” e nessuna supremazia finale sulle altre, ma che la relazione del soggetto con la soddisfazione, attraverso l'oggetto, rimane parziale ed essenzialmente frammentata.
Ciò che Lacan sta cercando qui di formulare è “come l'alternativa tra desiderio e godimento può trovare il suo punto di passaggio.” “Il fallo - egli sostiene - dove è atteso come qualcosa di sessuale, appare solo come mancanza, e questo è il suo collegamento con l'angoscia” (pp. 293-294). Ma per rivelare come l'oggetto a riesce ad accedere alla cosa, per svelare il punto di passaggio, Lacan afferma che dobbiamo ritornare alle sue origini: questo punto di passaggio ha a che fare con una doppia operazione. Una di incorporazione e l'altra di sacrificio. Lacan prosegue spiegando la fisiologia dell'orecchio e dell'udito in relazione all'acquisizione del linguaggio da parte dei neonati, per cercare di formulare come il soggetto deve essere costituito nel campo dell'Altro da cui riceve il suo proprio messaggio – chi sono Io? - in forma invertita: “Tu sei..” (thou art in inglese antico you are).
Un risonatore di tipo tubolare, nel quale si produce una vibrazione a patto che ci sia un vuoto in cui possa risuonare. Il monologo ipnopompico dei bambini intorno all'anno nella fase che precede l'addormentamento – che Lacan paragona alla futura funzione del sogno – è un fenomeno osservato che Lacan usa per illustrare la costituzione dell'oggetto a in quanto resto (tra S e Altro): una voce staccata dal suo supporto. In questo circuito Lacan rivela il punto di rottura: la voce risponde a ciò che viene detto, ma non può risponderne (perché risponda dobbiamo incorporare la voce come l'alterità di quello che si dice).
Per questo preciso motivo quando è staccata da noi la nostra voce ci appare come un suono estraneo. È proprio della struttura dell'Altro costituire un certo vuoto, il vuoto della mancanza di garanzia. Se questa cassa di risonanza non si incarna nell'altro primordiale, le cose si complicano (ospedalizzazioni). Questa voce, situata in relazione al discorso, non è modulata, ma articolata. Dice Lacan: “è la voce in quanto imperativa, in quanto reclama obbedienza o convinzione”.


  1. Il rubinetto di Piaget

L'oggetto dell'analisi è la scoperta di un desiderio. Ma tuttavia, attraverso l'angoscia, ciò verso cui Lacan ci indirizza, è che l'oggetto a non è l'oggetto del desiderio che si cerca di svelare nell'analisi, bensì la sua causa. È perché il soggetto dipende da questo Altro per la sua costituzione che il suo desiderio si trova appeso a questa relazione tramite la costituzione antecedente di a. Lacan illustrerà questo concetto tramite il sintomo ossessivo: andare a controllare che il rubinetto del gas sia chiuso. Se il soggetto non lo fa, si risveglia l'angoscia. Qui Lacan sostiene che l'angoscia appare prima del desiderio. Perché l'analisi inizi il soggetto deve riconoscere questo sintomo e che è così che funziona e avere una vaga idea, una convinzione, un'intuizione, porsi la domanda che ci sia una causa dietro a tutto ciò. Per ciò che concerne quanto tutto questo giustifichi la costituzione dell'inconscio, Lacan – tramite gli esperimenti di Piaget – arriva a mettere in evidenza la cosa più importante nell'osservazione del monologo dei bambini: vale a dire che essi non sanno ciò che stanno dicendo, ma lo dicono lo stesso. Uno non ha bisogno di sapere che conosce qualcosa per saperla. Questo è il punto di intersezione tra l'inconscio come “S” e l'Id freudiano come “It” (in inglese, ndr.).
A dispetto della costruzione immaginaria-simbolica che l'individuo considera essere il suo sé e la sua realtà, oltre l'inconscio, persino contro di esso: l'inconscio parla e gode.
La costruzione di a nella relazione tra S e Altro quindi si può cogliere attraversi i 5 oggetti parziali della pulsione.

S    a   %

  1. Oggetto Orale: il bisogno nell'Altro (a livello dell'Altro = dipendenza ---> disgiunzione del soggetto da a = seno, come parte del mondo interno di S e non del corpo della madre). L'oggetto del bisogno del soggetto si pone nel campo dell'Altro.
  2. Oggetto Anale: la domanda è nell'Altro: educazione ---> che cosa rimane di questa richiesta dell'Altro. Qui il soggetto, che ora si identifica con l'articolazione della sua domanda, si trova nel campo dell'Altro. È al livello anale che il soggetto ha la prima opportunità di riconoscersi in un oggetto.
  3. Oggetto Fallico: il godimento è nell'Altro. Dialettica di -phi ---> definita dalla mancanza di un oggetto (più vicino all'angoscia: quando al posto della mancanza emerge qualcosa).
4.      Oggetto Scopico: potenza nell'Altro. Qui siamo al livello del fantasma e del luogo del miraggio del desiderio umano (puissance – tout-puissance and impuissance ovvero potenza-onnipotenza e impotenza). Oggetto sguardo: né l'occhio che guarda (sia quello del soggetto sia dell'Altro) né l'oggetto feticcio che soddisfa l'occhio, ma quello che guarda senza vedere e così disturba il campo visivo.
  1. Oggetto Invocativo: il desiderio dell'Altro (questo avviene quando il desiderio dell'Altro deve emergere in forma pura).


  1. Dall'anale all'ideale

La logica costituzione dell'oggetto è circolare e non cronologica:

                                                                               Fallica

Anale                                                                                                                     Scopica


                              Orale                                                                               Invocatoria
                                                                                                                    (Super io)

Nello stadio fallico la funzione a è rappresentata da una mancanza, il fallo mancante che costituisce la disgiunzione che unisce desiderio a godimento. Cosa permette di unire desiderio e godimento? (vale a dire mancanza e soddisfazione): una disgiunzione fondamentale. Quando questa disgiunzione non avviene, ovvero quando il fallo e la sua correlativa significazione non sono operativi, il desiderio e il godimento non sono disgiunti e perciò l’uno non può essere la difesa/limite contro l’altro.
Gli altri quattro stadi sono regolati da questa fondamentale forma dell'oggetto a che è il fallo: il pezzo mancante che consente una dialettica tra gli altri, persino una regolazione di essi. Degli altri quattro Lacan enfatizza il fatto che abbiano delle corrispondenze: l'orale con la voce e l'anale con lo sguardo.
Focalizzando la strutturazione del desiderio nella nevrosi ossessiva, Lacan riassume quali sono i fatti anatomici che mettono l'essere umano – sempre che lo si intenda tagliato fuori dalla natura a causa del linguaggio – nella condizione di organizzare il circuito pulsionale in una forma particolare: la costituzione dei mammiferi, il funzionamento fallico dell'organo copulatorio, la plasticità della laringe umana rispetto all'impronta fonematica; il valore anticipatore dell'immagine speculare; la prematurazione neonatale del sistema nervoso.
Citando Jones, Lacan introduce gli elementi chiave per proporre ciò che nei suoi Ecrits definisce “una erogeneità respiratoria”, che porta a immaginare l'aria come oggetto ansiogeno, e che potrebbe aiutarci a considerare una serie di fenomeni clinici correlati alla respirazione (si consiglia l'articolo di O. Zack). Lacan tornerà su questo argomento nella sua ultima lezione di questo anno.
Per quanto riguarda l'oggetto anale, Lacan privilegia un approccio a questo tema partendo dalla prospettiva dell'ideale, vale a dire della sublimazione. Altrove egli ci rimanda esplicitamente all'idea che la civiltà inizia con la creazione di impianti di fognatura. Ciò che è cruciale a questo livello è come l'escremento registra la soggettivazione attraverso la domanda dell'Altro.
In questo senso possiamo dire che i livelli orali e anali sono livelli di costituzione dell'oggetto-soggetto intimamente connessi al registro della domanda, mentre lo scopico e l'invocatorio – sguardo e voce – riguardano il desiderio. Cos'è il desiderio? È il residuo, il resto dell'operazione tra bisogno e domanda. Torneremo su questo argomento.
Al bambino si chiede di trattenere e di espellere. L'escremento diventa qualcosa che acquista il valore di essere – almeno momentaneamente – ciò che può soddisfare la domanda dell'Altro. Ma, aldilà di tutto questo e poiché ciò può assumere per l'Altro un valore agalmatico (che non è sempre così), esso svela la dimensione dell'oggetto in quanto cedibile, che può essere ceduto o trattenuto. Poiché questo è il caso, esso entra a far parte della dialettica di castrazione, vale a dire di angoscia fallica. La pupù è ottenuta su richiesta e ammirata. Ma la seconda fase di questa domanda spinge alla sublimazione: non giocare con la pupù, piuttosto colora qualcosa o gioca col fango. L'ambigua ricognizione propria di questa fase lascia il soggetto pronto per il movimento ossessivo: Sono grande/Sono merda – Amo il mio prodotto/Lo odio. Il narcisismo può divenire la gabbia da cui l'ossessivo osserva questo oggetto – questa merda – con cui si rapporta in maniera ambivalente (sia si tratti del suo ego o dei suoi oggetti o del suo analista). Come dice Lacan il suo sì – e – no.
“Il sintomo proviene da me ma tuttavia non proviene da me.” Dobbiamo sottolineare che questa è una condizione perché un sintomo sia analizzabile.
Che cosa avviene quando il desiderio, quello sessuale, entra in scena nella fase seguente? Il fallo, afferma Lacan, in quanto evanescente, è per l'umanità il mezzo per le relazioni tra i sessi.

5
voce
a
Desiderio dell’Altro
4
immagine
Potenza dell’Altro

3
desire
angoscia (-phi)
godimento dell'Altro
2
traccia
domanda dell'Altro

1
angoscia
a
desiderio x
dell’Altro

                                                                                 
Ciò che Lacan qui enfatizza, come già sviluppato nelle precedenti sezioni del seminario – è come la crescita del godimento dell'Altro conduce inevitabilmente all'angoscia della caducità dell'organo in quanto spiega l'insaziabilità del desiderio (basti pensare a come certe donne sostengono l'uomo, lo completano, lo supportano, assicurandosi che la detumescenza non lo renda impotente o come certi uomini che indietreggiano innanzi al fantasma inconscio della voracità femminile: adesso lei vuole questo ma cosa vorrà quando cesserà l'erezione?).
Per colmare il desiderio dell'Altro, l'ossessivo deve far ricorso alla domanda: far sì che l'Altro glielo chieda. Egli chiede di essere chiesto.
L'oggetto anale si ricongiunge con l'oggetto fallico nel suo stato di traccia, che indica un certo territorio dove aldilà dei suoi confini il soggetto non è più al sicuro; Lacan lo definisce anche la sua firma, la funzione di a come rappresentativa del soggetto. Ma è al prossimo livello che l'ossessivo concluderà la sua posizione: nell'annodamento tra il riflesso speculare, il sostegno narcisistico del dominio di sé e il luogo dell'Altro. Nel registro in cui il desiderio si collega con la potenza, la forza, esso diviene impossibile: l'ossessivo non giunge mai al fondo della sua ricerca di soddisfazione (relazione con Dio etc.). Il fantasma ossessivo di ubiquità (onnipresenza), come lo inquadra Lacan, può essere contrastato da un fantasma isterico di sparizione, di invisibilità: se l'ossessivo si fonda nel desiderio attraverso questa “onnipresenza”, l'isterica lo fa attraverso il “non essere da alcuna parte”.
L'ossessivo non solo ti dice ciò che pensa, ma anche ciò che tu pensi; l'isterica indica piuttosto l'impotenza fondamentale del padrone che ha creato per affermare il suo essere, parla per enigmi e non si riconosce nel gioco di specchi in cui lei stessa si perde. Desiderio in quanto impossibile e desiderio in quanto insoddisfatto sono i modi dell'irraggiungibilità per il soggetto nevrotico intrappolato tra domanda e desiderio. È perciò che Lacan afferma che tra il secondo e il quarto stadio ciò che viene inquadrato è l'impossibilità che separa il godimento dal desiderio a livello sessuale.


  1. Di un cerchio non riducibile a un punto

A questo punto Lacan definirà la principale caratteristica dell'oggetto a in quanto pezzo separabile dalla pulsione: la sua natura cedibile. I punti di fissazione della libido sono sempre bilanciati con momenti che la natura offre alla potenziale struttura della cessione soggettiva. Il seno, gli escrementi, abbiamo visto – il fallo – etc. Ed è in questa cessione che l'oggetto si costituisce in quanto perduto e può perciò operare come causa del desiderio. Questo movimento, dice Lacan, è primario per quanto riguarda la costituzione del soggetto nella catena, nell'Altro, nell'inconscio: esso riguarda il corpo prima che si costituisca come una superficie.
Qui Lacan rivedrà alcuni termini da lui usati nella tavola presentata all'inizio del Seminario: emozione, turbamento, imbarazzo, sono termini troppo vicini a una psicologizzazione dell'argomento, secondo Lacan. Propone una riformulazione del grafico dell'angoscia che ora viene organizzato intorno a un “non sapere” e a un “non essere capace”. Il desiderio come difesa contro un altro desiderio è la formula che Lacan propone per la nevrosi. Nel seguente e ultimo capitolo il grafico verrà di nuovo modificato (p. 349).
Poiché l'oggetto manca nel senso reale nella terza fase, poiché l'incontro con un altro corpo implica necessariamente l'incontro di due desideri e “data l'impossibilità di soddisfare al livello di questo stadio (-phi) il suo proprio oggetto appare” l'oggetto del fantasma, nella sua funzione di tappo (torus).


     XII.   Da a ai Nomi–del-Padre

Nell'ultimo capitolo Lacan riassume le fasi della formazione dell'angoscia. Abbiamo visto che la tesi di Lacan è che per capire come opera l'angoscia abbiamo bisogno di comprendere il processo di simbolizzazione dell'oggetto. L'angoscia viene definita come un segnale di fronte a un pericolo vitale - anche per Freud – ma un pericolo che è collegato “alla caratteristica specifica al momento costitutivo dell'oggetto a”. Il segnale si attiva prima della cessione dell'oggetto. La funzione angosciante del desiderio dell'Altro è collegata al fatto che io non so quale oggetto a io sia per questo desiderio. Il pericolo è: che cosa diverrò se io metto questo oggetto nel campo dell'Altro? (mi divorerà, mi smerderà, mi deriderà etc.). Ecco perché il taglio della seduta non è arbitrario: la sessione viene interrotta nel punto imminente alla cessione.
Quando il neonato si separa dall'ambiente liquido e si viene a trovare in un ambiente completamente Altro, separato dalla placenta da cui era avvolto: il prototipo dell'idea di a. A chi appartiene? In ogni  caso si tratta di qualcosa che deve essere perduto: inoltre esso è costituito come tale, come a, da e attraverso la sua effettiva perdita. Qui c'è una risignificazione del trauma della nascita: qualcosa di traumatico relativo non alla separazione dal corpo della madre, ma dal fatto di essere catapultato in un ambiente radicalmente Altro. Un non identificato Altro con il suo enigmatico desiderio che costituiscono lo sfondo di ogni situazione in cui emerge l'angoscia. È solo quando questo Altro è nominato che l'angoscia può essere sconfitta, afferma Lacan nell'ultima pagina del seminario X.
A questo punto inaugurale di angoscia primordiale, la manifestazione del lattante consiste nel grido, un grido che gli sfugge nel momento stesso in cui viene al mondo: ciò che qui è fondamentale è che il neonato non può fare niente se non cedere questo grido. Ora si trova nel campo dell'Altro e nulla potrà mai ricongiungerlo al mondo precedente. Questa è la differenza con tutte le forme dell'oggetto che seguiranno. L'organismo abbandona l'ambiente primordiale acquatico e si sposta in un ambiente aereo. Questo è il salto che chiamiamo trauma. L'inspirazione in sé di questa Alterità di cui l'angoscia sarà sempre il segnale.
Qui “l'aria occupa un posto fondamentale all'interno delle variabili di cui Lacan si sta occupando in quel periodo: il punto zero della serie che installa nel corpo una topologia di bordi. Lacan sottolinea come fondamento esistenziale il respiro (ruach in ebraico = vento, vanità nell'Ecclesiaste), e l'influenza sperimentata come tale che primordialmente taglia fuori lo stato dell'oggetto. Questo confine oggettivo tra il sostegno vitale garantito dall'ossigenazione per via materna e l'inizio del riflesso respiratorio è soggettivato al prezzo dell'angoscia e fa dell'aria un oggetto che installa una topologia primaria dei bordi”. L'angoscia è il passaggio che apre a ciò che precede il desiderio e al suo oggetto (-phi) ed è perciò che “può trasformare il godimento in una causa di desiderio”, stabilendo un confine tra l'Uno e l'Altro.
Il Seminario si conclude con alcune inestimabili annotazioni cliniche: su Amleto, lutto e melanconia, mania e alcuni schemi per una clinica differenziale a seconda che ci si trovi con un misconoscimento o una non-funzione dell'oggetto a. Che ci sia un a che stabilizza il soggetto o esso/a sia lasciato alla pura e semplice infinita e ludica metonimia della catena dei significanti. L'oggetto a, tagliato nel processo di separazione, testimonia l'alterità dell'Altro, che l'Altro non è Uno. Questo è ciò che il nevrotico non riesce a riconoscere e non vuole sapere.

Traduzione di Enrica Goldfluss
Revisione di Alberto Tuccio