martedì 2 maggio 2017

Seminario del 18 marzo 2017 Docente invitato: Veronique Voruz

Tratteremo i primi cinque capitoli della quarta parte del seminario X, quella intitolata: Le cinque forme dell’oggetto a.
In questi primi cinque capitoli Lacan costruisce gli oggetti orale, anale, fallico, scopico e vocale, ma quello che è interessante notare in via preliminare è che non li costruisce uno per uno, ma uno in relazione all’altro, vale a dire, innanzitutto, che non si mette in una prospettiva di sviluppo; vedremo la messa in gioco di questo modo di presentazione.
Prima di affrontare più precisamente la costruzione dell’oggetto a, in particolare della forma che gli si dà in questo seminario, vorrei partire dagli assi di lettura evidenziati da Jacques-Alain Miller nel suo corso del 2004, durante sei lezioni contemporanee alla pubblicazione di questo seminario in francese, disponibili anche in italiano. Questi assi di lettura sono indispensabili per orientarsi nell’insegnamento di Lacan ma anche per situare quella che è la posta in gioco di questo seminario che Miller definisce come laboratorio della rifondazione della psicoanalisi, realizzata da Lacan nel seminario XI dopo la sua separazione dall’IPA. Quindi abbiamo un seminario che pone le premesse della separazione. In questo seminario Lacan allestisce gli strumenti teorici necessari per andare al di là dei punti di impasse freudiani, che, a suo avviso, avevano condotto gli psicoanalisti a chiudere l’inconscio, portando alla mortificazione o alla psicologizzazione della psicoanalisi.
A pagina 286 dell’edizione francese, Lacan dice che si orienta a partire dal desiderio su quello che chiama la “rivivificazione del desiderio”, unica alternativa al fatto di “smarrirsi nella rete infinita del significante, o di cadere nelle vie più comuni della psicologia tradizionale”. Le “vie più comuni” sono altro, ma “smarrirsi nel reticolo infinito del significante” è qualcosa che proviene da Lacan stesso; come dice Miller è “Lacan contro Lacan”. Negli anni ’50 infatti, in particolare ne “La direzione della cura”, del 1958, Lacan aveva definito il desiderio come “metonimia della mancanza ad essere” e aveva dato come orientamento, nella formazione degli psicoanalisti, il dito di San Giovanni puntato al Cielo, nella celebre dipinto di Leonardo Da vinci, per indicare che la cosa sta altrove. Con la teoria del desiderio si arriva a una metonimia significante che si può correlare qui a quello che dice Lacan: “smarrirci nel reticolo infinito del significante”.
La posta in gioco del seminario X è davvero quindi di rifondare la teoria del desiderio, di rivivificarla, a partire dalla bussola di cui Lacan si dota, ossia la bussola dell’angoscia. Anche se il seminario non s’intitola “Desiderio”, è questo che Lacan mette in gioco. Innanzitutto pone la problematica dell’atto nei primi due capitoli del seminario, e la ritroviamo anche alla fine. Questa messa in gioco a partire da Inibizione sintomo e angoscia di Freud, fa da trama al seminario X, perché vediamo presentificato qui da Lacan, “l’atto”, ovvero ciò che forma un’interruzione nello svolgimento automatico della catena significante.
Nel momento in cui Lacan cerca di far uscire la psicoanalisi dal “tutto significante”, si interessa all’atto: è strategico. In effetti a partire da questo seminario, dallo scritto Posizione dell’inconscio, e dal seminario XI, Lacan esplora altri strumenti teorici rispetto a quelli a lungo condivisi con le discipline strutturaliste - in particolare la linguistica e la topologia – e ci si rende conto di questo suo nuovo orientamento nelle risposte che dà alle domande di un giornalista belga, pubblicate in “Radiofonia”. Se ricordate, una decina d’anni dopo, Lacan rende esplicito proprio di non situarsi nel solco delle discipline strutturaliste, e precisamente per via dell’oggetto a.
Nel seminario X siamo all’inizio di questo cambio di orientamento: diviene un vero e proprio laboratorio dell’oggetto a. Nello specifico si vede il corpo apparire in tutto il suo splendore di organismo, cosa nuova per Lacan, e Miller lo sottolinea mettendo in risalto il carattere naturalistico di questo testo dove Lacan ci parla della placenta, del meconio, degli involucri corporei del feto, delle mammelle, di un po' di merda e del piccolo mucchietto (omofono in francese: petitas-petit a); tutto ciò fa parte – in modo crudo – del vocabolario di Lacan, che ci parla di tutto questo con molti riferimenti all’etologia, quindi alla dimensione del corpo come organismo che viene sul proscenio.
Dopo questa breve introduzione voglio darvi qualche asse di lettura più preciso.

Primo asse
In questo seminario osserviamo un cambiamento di statuto dell’Altro, da qui “A è costituito e completato da a” (espressione di Marie-Hélène Brousse). Cosa significa che A è completato da a? La struttura dell’Altro, nel seminario X, rimane significante, ma c’è un resto: il corpo è inteso vivente (Lacan per vivente intende dire non significante), il resto è a, introdotto da Lacan come “resto dell’operazione soggettiva che concerne l’Altro” (definizione di Jacque-Alain Miller). Con questo cambiamento dello statuto di A vi è la fine della priorità del simbolico, vale a dire dell’idea che tutto può essere simbolizzato o simbolizzabile: per esempio, che anche gli organi possano essere trasformati in significante attraverso l’operazione fallica significante del desiderio dell’Altro - ovvero il fallo scritto come Φ -; cioè la soluzione attraverso la metafora, attraverso il fallo, attraverso il Nome-del-Padre.
L’oggetto a non è nominabile, è irriducibile alla simbolizzazione, quindi in quanto tale, citando Jacques-Alain Miller, “l’oggetto a vale come messa in scacco del Nome-del-Padre, in quanto NDP è l’operatore maggiore della simbolizzazione”, quindi l’oggetto a è la messa in scacco della metafora. Questo è un passaggio critico per la psicoanalisi che fino a quel momento aveva fatto della metafora paterna il punto di capitone. Per anni Lacan ha lavorato su questo punto come ciò che lui aggiungeva alla linguistica; ora se ne disfa e occorre rendere conto della costituzione del soggetto in un altro modo.
Nel seminario X Lacan tenta di rendere visibile il modo in cui si costituisce il soggetto nel luogo del significante, ma con un resto. Cos’è questo resto? Il resto sono i pezzi di corpo prelevati sul corpo vivente del soggetto del significante e che si ritrovano nel luogo dell’Altro. Si vede allora come A sia completato da a, perché in A, come luogo del significante, ci sono dei pezzi di corpo. Ciò è un po' strano perché l’angoscia, per Lacan, è quando un mio pezzo di corpo tagliato sorge di nuovo nel luogo dell’Altro, quindi quello che c’è di più intimo in me sorge nell’Altro: da qui nasce l’angoscia.
Come si realizza questa costituzione del soggetto nel luogo del significante, questo cambiamento di statuto dell’Altro e del corpo lacaniano? Se pezzi del mio corpo si ritrovano nel luogo dell’Altro significa che il mio corpo non è contenuto nei limiti dell’immagine, cioè che il mio corpo non è tutto organizzato dalla costituzione di un esterno e di un interno. Nei testi di Freud è proprio questo che si mette al centro della questione del giudizio, per esempio nel testo sulla formulazione dei principi della realtà psichica, o nel testo sulla negazione, vediamo che il soggetto si costituisce come interno e come esterno: qualcosa rimane dentro qualcosa rimane fuori. L’organizzazione quindi si realizza come qualcosa di interno o esterno alla realtà psichica.
Perché Lacan studia queste cinque forme elettive dell’oggetto a? Non ci sono solo cinque oggetti e alla fine del seminario vedremo che tutto può assumere funzione di oggetto a, dal momento in cui risponde a certe caratteristiche di costituzione. Perché dunque queste cinque forme? Lacan le sceglie per differenziare le diverse logiche secondo le quali l’oggetto a viene messo in funzione di copula tra il soggetto e l’Altro. Vediamo così che l’oggetto a è qualcosa che ha legame tra soggetto e luogo significante, ma questa copula non è sempre la stessa perché Lacan, attraverso queste cinque forme dell’oggetto, studia il bisogno, la domanda, il desiderio, l’ideale dell’Io e il Super-Io. Vale a dire: la dinamica del bisogno rende conto dell’oggetto orale, la dialettica della domanda rende conto dell’oggetto anale, quella del desiderio del fallo, e la logica della potenza rende conto dello sguardo e della voce, dove lo sguardo è il versante ideale mentre la voce è versante del super-Io.
Perché è il bisogno a essere correlato all’oggetto orale?
Analizziamo Il capitolo “La bocca e l’occhio”. Qui il seno è oggetto del corpo del bambino ed è minacciato dal suo esaurimento; è quindi nell’Altro che vi è l’oggetto di cui ha bisogno, sul suo corpo.
A pagina 350 (ed. francese; p. 329 ed. italiana), Lacan dice: “A livello dello stadio orale, in cui l’oggetto a è il seno, il capezzolo – quello che volente -, si tratta fondamentalmente di questo. Il soggetto, costituendosi all’origine e completandosi poi nel comando della voce, - vediamo quindi già il tragitto dall’orale alla voce, dall’inizio alla fine – non sa e non può sapere sino a che punto sia lui stesso quell’essere applicato al petto della madre in forma di mammella, dopo essere stato quel parassita che affonda le sue proprie villosità nella mucosa uterina, nella forma della placenta. Egli non sa, non può sapere, che il seno, che la placenta è la realtà del limite di a rispetto all’Altro. Egli crede che a sia l’Altro e che avendo a che fare con a abbia a che fare con l’Altro, con il grande Altro, la madre”. Quindi nello stadio orale l’oggetto è perduto come parte dell’Altro, ed è la prima modalità della costituzione soggettiva del luogo dell’Altro, ovvero nel luogo significante, come pezzi di corpo dell’Altro. Si deduce allora che il soggetto perde qui qualcosa del proprio corpo che diventa parte dell’Altro.
Sul piano anale è invece la domanda a essere in gioco, l'altro intimo del soggetto: “Chiedilo-Dallo”, dice Lacan. Le feci sono perdute come parti del proprio corpo e il soggetto ha la questione: “se lo do dove va a finire?”.
Il piano del fallo è correlato al desiderio, alla differenza tra sessi mostrata da Lacan in questi cinque capitoli, per esempio nel capitolo 20 dove spiega che sia l’uomo che la donna sono il desiderio di fallo come onnipotenza, cioè l’uomo desidera la bella donna che è il fallo e la donna desidera quello che ha l’uomo. Lacan osserva però che è - ϕ che li attende. A pagina 310 (ed. francese; p. 292 ed. italiana), per esempio, dice “[…] la zona in cui i loro desideri li portano per raggiungersi e dove potrebbero effettivamente coincidere è caratterizzata dalla mancanza di quello che dovrebbe essere il loro medium - ovvero (- ϕ) -. Per ciascuno il fallo, quando viene raggiunto, è ciò che lo aliena dall’altro”. In Lacan si ha quindi l’idea che tutti cerchino di raggiungere il fallo e che, se lo si raggiunge, non si incontra l’Altro. Più probabilmente dove più ci s’incontra è dove c’è – ϕ, Lacan quindi prende il verso contrario rispetto alla teoria genitale della maturazione sessuale.
Il fallo è una delle forme dell’oggetto a perché riguarda la costituzione del soggetto nel luogo dell’Altro, indicata anche in questo caso da una perdita di un pezzo di corpo. Il fallo è ciò che immaginarizza la dimensione della perdita e la radicalizza, perché Lacan, invece di parlare di castrazione, parla di detumescenza. La perdita qui non è evitabile nell’ordine fallico, non c’è bisogno dell’altro a tagliarci il pene, la detumescenza è un fenomeno naturale e questo immaginarizza la dimensione della perdita e, a differenza delle feci, radicalizza tale dimensione, poiché le feci si riproducono - vengono perdute ma domani ce ne saranno ancora -, mentre se si taglia il pene questo non cresce più; per questo vi è la radicalizzazione della perdita nello stadio fallico. Tutto ciò è una prefigurazione del seminario XX, di ripositivizzare il – ϕ, di fare un - (-ϕ). Non si tratta di negare che ϕ sia - ϕ, ma di fare del - (meno) il segreto del rapporto tra gli uomini e le donne; vale a dire, perché qualcosa del rapporto tra i sessi passi, che “qualcosa del godimento accondiscenda il desiderio, grazie all’amore" (frase celebre che si trova nel seminario XX), ovvero perché ci sia amore tra un uomo e una donna, bisogna che qualcosa sfugga alla logica dell’onnipotenza del fallo: questo fa sì che la donna cerchi ciò che fa il fallo e che l’uomo cerchi nelle donna il fatto che è il fallo. Cito qui, nel capitolo XX, a pagina 312 (ed. francese; p. 294 ed. italiana) “il  φ  è nei due sessi ciò che io desidero, ma anche ciò che posso avere solo con – φ. È questo meno che risulta essere il mediatore universale nel campo della congiunzione sessuale”. Quindi non più la positività del fallo, è il – (meno) ad essere in gioco; ecco la terza forma che Lacan dà all’oggetto a: orale-bisogno, anale-domanda, fallo-desiderio.
Le altre due forme aggiunte al catalogo degli oggetti freudiani sono sguardo e voce: è l'altro dell’onnipotenza che guarda il soggetto, intima al soggetto, quindi sul piano dello sguardo abbiamo la funzione dell’ideale dell’Io, ideale funzione alla quale il soggetto aspira sotto lo sguardo onnipotente dell’Altro (si è guardati dappertutto in Lacan, lo sguardo non è localizzato); la voce invece, del super-Io, sono i comandamenti che si incorporano e che fanno la tessitura della vita del soggetto, ed è la forma che Lacan esplora a più riprese nell’insegnamento: “tu sei … (ingiunzione)”.
Nei primi due capitoli di cui abbiamo parlato oggi i primi riferimenti che Lacan, di ritorno dal Giappone, fa al buddismo, sono quando ricorda di aver visto la statua del Buddha, con gli occhi chiusi e il taglio degli occhi cancellato dal contatto delle mani delle monache che per secoli lo hanno accarezzato. Qui Lacan mette in evidenza la funzione pacificante delle palpebre di Buddha (p. 268 ed. francese; p. 247 ed. italiana). Lacan ci dice che questa statua del Buddha ci preserva della fascinazione dello sguardo, indicandolo tuttavia attraverso le palpebre chiuse. Lacan osserva quindi che la statua si fa carico del punto di angoscia, perché l’occhio è nella statua, ma chiuso, si è quindi nel campo speculare ma al contempo non si è troppo guardati.
Per quanto riguarda la voce, nell’ultimo capitolo prende l’esempio del monologo del bambino, quello prima dello stadio dello specchio: quando è da solo fa la lallazione ma basta mettere un altro bambino nell’infermeria perché il bambino taccia. Lacan prende questo esempio da Jakobson e lo confronta con un gamberetto, con l’esempio della piccola dafnia, che incorpora dei grani di sabbia nel suo apparato uditivo, grani di sabbia necessari al suo equilibrio. Così i processi di incorporazione della voce sono dei granelli di linguaggio incorporati dal bambino.
Non siamo a livello del senso perché prima dello stadio dello specchio, ben prima della padronanza della lingua da parte del soggetto; l’importante è che non siamo sul piano del soggetto nel significante, ma del corpo vivente, quindi questo incontro con la lingua non è un incontro di senso. Lacan aggiunge poi che è divertente e che bisogna ancora versare della limatura di ferro, invece della sabbia, per poi divertirsi a toglierla: tutto questo per mostrarci come questo linguaggio incorporato alimenti l’onnipotenza dell’Altro.
Le cinque forme dell’oggetto Lacan le sceglie in modo elettivo, al fine di mettere in evidenza i diversi livelli di incorporazione: da parte del soggetto, della funzione dell’Altro, bisogno, domanda, desiderio, ideale dell’Io, Super-Io. Con questi oggetti riprende tutta la teoria della psicoanalisi nella prospettiva del pezzo di corpo perduto. Tutto il precedente Lacan era invece preso nella prospettiva del significante.
Se ricordiamo la costruzione dei grafi del desiderio, Lacan si impegnava a mostrare come tutto quello che era sul piano organico passasse per le sfilate del significante, con un punto di capitone finale, il fallo, che organizzava tutti gli oggetti di bisogno e domanda nella funzione del desiderio. Qui c’è una svolta notevole, ed è come se Lacan dicesse: non è così, ciò che si tratta sono pezzi di corpo che metto nell’Altro. Questo implica un grande cambiamento nello statuto del corpo.

Secondo asse
Dal seminario X il corpo non è più soltanto corpo visivo, corpo speculare, vale a dire che questo corpo visivo deve essere messo in correlazione con l’oggetto sguardo. Nel seminario XI Lacan racconterà la storia di Petit-Jean, la storia della scatola di sardine, ovvero di quando era un giovane intellettuale e se aveva voglia di stare in compagnia dei pescatori andava in barca con loro a pescare sardine. Nel seminario XVI aggiungerà come correlato implicito che andava a caccia di fanciulle e a farsi delle bevute storiche, e cose del genere: faceva parte quindi di questo gruppo di uomini, facendo cose che fanno gli uomini, mettendosi anche a repentaglio nelle partite di pesca a bordo di queste barchette a guscio di noce. Lacan, in quest’atmosfera un po' maschilista, vede all’orizzonte qualcosa che brilla: una scatola di sardine. Nel seminario XVI verremo a sapere che questa scatola era stata buttata dal suo gruppo e che Petit-Jean gli aveva detto “questa scatola… tu la vedi? .. lei non ti vede!...ti guarda!”. Qui Lacan dice di sentirsi macchia nel quadro. È una storia molto nota del seminario XI, piuttosto enigmatica perché Lacan dice che la macchia è correlata all’oggetto sguardo.
Cosa si può dire dunque di questo oggetto misterioso, se non se ne fa semplicemente un organo della pulsione scopica? Lacan correla quest’oggetto a con lo stadio dello specchio, vale a dire che l’oggetto sguardo è l’oggetto che è necessario perdere per potersi vedere come immagine. Lo si vede nella psicosi, dove il soggetto psicotico ha difficoltà, a volte, a riconoscersi nello specchio perché l’oggetto sguardo non è perso. Perdere l’oggetto sguardo significa collocarlo nell’Altro: “questo mi guarda”. È il “questo mi guarda” della scatola di sardine, io in quanto guardato sono macchia, salvo essere protetto dalla dimensione speculare. Lacan aggiunge nel seminario XVI, legandosi al seminario XI, che lui era in un rapporto identificativo con questi uomini e che l’osservazione di Petit-Jean fa cadere questa identificazione speculare, fa cadere i(a), perché quello che dice Petit-Jean nel seminario XVI è “tu fai macchia”.
Nel seminario X abbiamo il laboratorio di tutto questo: la relazione tra due corpi; costituita da Lacan come corpo visuale e corpo delle zone erogene. L’oggetto sguardo è l’oggetto che è necessario perdere, collocare nell’Altro per potersi vedere come immagine.
Nei cinque capitoli all’ordine del giorno, Lacan si riferisce a diversi luoghi in relazione allo spazio. Non è un’intuizione kantiana, Kant fa dello spazio una dimensione dell’intuizione, ovvero qualcosa sul piano delle idee, del significante, Lacan invece no, lo spazio non è correlativo all’idea ma all’occhio, significa che l’oggetto sguardo è strettamente correlato allo spazio, o che lo sguardo è l’oggetto del campo dell’estensione. Ciò dice che la teoria lacaniana della visione implica un taglio tra l’immagine e lo sguardo. Ancora una volta non è un taglio tra il soggetto e l’Altro – come in tutta la teoria analitica precedente a Lacan che vedeva la separazione come un problema di attaccamento tra soggetto e Altro -, per Lacan la posta in gioco è il taglio tra il soggetto stesso e i propri organi. Se volete quello che non si vede con l’oggetto sguardo è la dinamica in gioco nella costituzione del corpo pulsionale, poiché l’oggetto scoptico è centrato dall’immaginario nell’oggetto sguardo; c’è quindi un effetto di occultamento dell’oggetto per via dello stadio dello specchio.
Su questa questione di cambiamento d’istituto del corpo ci sono due punti da precisare: la questione del taglio e la questione dei due corpi. Il taglio è introdotto da Lacan in opposizione al tratto, di cui aveva parlato approfonditamente nel seminario dell’anno precedente, dicendo che all’inizio il tratto contrassegna tutto, ma c’è qualcosa che non è contrassegnabile. Cosa si fa quindi con questo resto? Lo si taglia: il taglio è quello che separa un resto che non è significantizzabile. Jacques-Alain Miller osserva che “questo termine di taglio deve essere risvegliato, vivificato”, lo ritiene un concetto fondamentale del seminario sull’angoscia, ne è lo strumento elettivo. Per risvegliarlo bisogna pensare di opporlo al tratto. Ciò che presiede nella funzione significante è l’operazione del tratto, in particolare nell’aufhebung, che ha come effetto quello di annullare e innalzare. La funzione di tratto s’iscrive nella funzione di aufhebung, trasforma il significante e il significabile, mentre la funzione del taglio separa un resto che per l’appunto non è significabile.
Fino a questo punto tutto l’insegnamento di Lacan è stato incentrato sulla funzione del tratto, che contrassegna il soggetto e che da qui lo innalza alla potenza del significante. Il seminario sull’identificazione ne fa la dimostrazione sistematica con gli esempi della tacca, della marca, che si sostituisce alla cosa rappresentata come per esempio il numero di animali uccisi dal cacciatore primitivo: ogni animale è contrassegnato da una tacca. Gli organi stessi potevano essere significantizzati ed entrare così nella dialettica significante.
Nella pagina 313 (ed. francese; p.295 ed. Italiana) del seminario X, Lacan dice che la differenza tra il pensiero dialettico e la nostra esperienza è che noi non crediamo alla sintesi. Lacan a lungo si appoggia alla dialettica ma qui ne prende esplicitamente le distanze, dicendo che nella nostra esperienza non c’è dialettica perché non c’è sintesi, mentre nel testo Intervento sul transfert Lacan dà come soluzione dell’analisi la dialettizzazione del particolare nell’universalizzazione del significante. La soluzione hegeliana vede il sintomo come quello che non è stato simbolizzato, quindi il sintomo a-simbolizzato ma non non-simbolizzabile, mentre qui Lacan dice che la psicoanalisi non è una dialettica ma è un resto.
Bisogna articolare tutto questo con i due statuti del corpo: corpo dello stadio dello specchio e corpo delle zone erogene. Siamo nella prospettiva di A completato da a, questa costituzione ha avuto luogo grazie all’operatore del taglio. Prima non si aveva idea, bisogna far passare tutto ciò che era vivente nel soggetto sotto la barra del significante, facendo continuare il desiderio come metonimia sotto la barra. Ora ci si separa dai pezzi di corpo attraverso l’operatore del taglio, con pezzi di corpo che si mettono nell’Altro, sullo statuto di corpo che questo implica. Cosa vuol dire mettere pezzi di corpo nell’Altro? Vuol dire che non sappiamo bene dove si delimita il corpo. Se volete, il corpo dello stadio dello specchio è un corpo che poteva essere significantizzato, attraverso la significantizzazione dello speculare e del significato. Nel seminario X l’oggetto a è al tempo stesso disimmaginarizzato e desimbolizzato. È disimmaginarizzato perché non risponde ai principi della simmetria e al principio dello stadio dello specchio, ed è desimbolizzato perché non è retto dal fallo. Questo oggetto quindi non è più trattabile attraverso la simmetria o il significante. Occorre un altro trattamento: la separazione del resto attraverso il taglio. Quello che non può essere significantizzabile attraverso la significantizzazione deve essere separato, come resto, e l’angoscia è l’operatore di questa separazione. Tutto questo è in un’altra concezione rispetto all’esperienza psicoanalitica, perché la psicoanalisi viene ricentrata così sulla vita pulsionale.
Questi due statuti del corpo spiegano perché il seminario si svolga in due movimenti, ed è ciò che affronta Jacques-Alain Miller.
Primo movimento del seminario. Lacan parla del corpo speculare perturbato da un’irruzione incongrua, da un oggetto strutturato diversamente che dalla buona forma, vale a dire che non è retto dal principio della simmetria, non è orientabile. Quando vediamo una foto vediamo destra e sinistra, nello specchio anche, ma l’oggetto a è un oggetto che non è orientabile in base al principio della simmetria ed è per questo che nel seminario compare il nastro di Möbius, un oggetto non orientabile secondo simmetria. Per questo è un oggetto incongruo che non si lascia mettere in ordine attraverso lo stadio dello specchio. Quindi il primo movimento del seminario è il corpo speculare e ciò che lo disturba.
Secondo movimento del seminario. Qui ritroviamo un oggetto che non è più affatto speculare, poiché troviamo: la placenta, gli involucri del feto, lo sguardo, la voce, le feci, il seno ecc., oggetti che non sono del registro della buona forma, o che non si iscrivono affatto nel campo visivo. Jacques-Alain Miller dice: “siamo in un registro in cui non si tratta più di forma ma di zone”: si tratta del corpo di zone erogene che non è il corpo visivo, è il corpo come organismo, colto assolutamente fuori dallo specchio, un corpo almeno a-speculare, quando visibile non specularizzabile, e di cui si capisce che rilascia degli oggetti conformi alla struttura topologica presentati a partire dall’irruzione dell’oggetto a nel campo visivo. Per questo si evidenzia la struttura topologica del nastro di Möbius, come il corpo delle zone erogene, con le zone di bordo, cioè l’oggetto a che fa copula tra il soggetto e l’Altro. Non si sa bene da che parte stia, per questo si parla della struttura di Mobius, ed è per questo che l’oggetto non risponde alla struttura dello stadio dello specchio.
Si ha, quindi, un cambiamento assolutamente radicale nell’insegnamento di Lacan: prima era molto chiaro che il corpo era collegato alla formazione dell’Io nello stadio dello specchio, quindi equivalente al registro dell’immaginario, e il significante era il registro del soggetto parlante; invece qui appare il corpo in quanto implicato nella costituzione del soggetto parlante, non più soltanto il soggetto svuotato dal significante. Il corpo in questione è un corpo incluso, tutto quello che permette al corpo di essere vivente, vale a dire che è un corpo che si sovrappone al corpo dell'altro. È per questo che nei primi cinque capitoli Lacan utilizza una quantità di termini che indicano che i limiti del corpo pulsionale vanno al di là del corpo speculare, come ad esempio: ectopia, parassitismo, intrusione, incorporazione, congiunzione e separazione, ambocettore (è il fallo che è ambocettore, è tra i due ma non è nessuno dei due). Tutti questi termini sono utilizzati da Lacan per indicare che quando si tratta del corpo delle zone erogene non siamo nel registro dell’intero e dell’esterno, il corpo immaginario diventa semplicemente ciò che sta intorno alla realtà dell’oggetto parziale.
La sola cosa che conta dell’oggetto a è che è fondamentalmente separato, e importa poco dove sia, l’importante è che sia separato, nella scatola di sardine, nel mare, nel partner sessuale, nel libro che si scrive, conta solo che sia separato e che il corpo immaginario sia ciò che semplicemente inglobi questa realtà. Qui vengono esposti due assi: nel primo, lo statuto dell’Altro è A + a, mentre nel secondo asse vi sono due statuti del corpo, con il corpo immaginario che è semplicemente il velo del corpo pulsionale.

Terzo asse
C’è un terzo asse, che emerge dalla lettura di questo seminario, in risposta al testo di Freud Analisi terminabile e interminabile: la vera posta in gioco nel seminario è la fine dell’analisi. Si può trovare una fonte di quel che vi dico nel capitolo XX, (pagina 292-293 ed. italiana), dove Lacan fa allusione alla rivendicazione fallica, vale a dire al Penisneid femminile e alla protesta virile dell’uomo, che sono le due figure del punto di arresto della castrazione nel testo freudiano. A pagina 293 Lacan dice: “Ecco l’aspetto che ci permette di svelare l’illusione implicita nella rivendicazione generata dalla castrazione, in quanto essa copre l’angoscia presentificata da ogni attualizzazione del godimento”. Si vede qui come Lacan mostri che tutta la doxa psicoanalitica era costruita sulla rivendicazione fallica e fa emergere come ciò sia un’illusione: dunque, in questo seminario, interroga tale presupposto punto di arresto della psicoanalisi, il fine analisi.
La fine dell’analisi, secondo Freud, è nell’angoscia di castrazione ed è per questo che ci sono due strategie. Lacan va a restaurare il fallo nel campo scopico, cioè va a fare della detumescenza un modello della castrazione, e concepirà il resto non più come un fallo significante del resto, ma come un resto non significabile; assistiamo all’inversione del fallo come significante del resto al resto come non significabile. Nel capitolo XIX “Il fallo evanescente. Dall’angoscia di castrazione all’orgasmo”, Lacan apre con un riferimento misterioso a Copernico e a Einstein (pagina 279) e parla poi dell’angoscia di castrazione dicendo che lo stato in questione “[…] non è appianabile così facilmente come gli ostacoli che si incontrano nel passare da un sistema concettuale a un altro, per esempio nel passaggio del sistema copernicano al sistema einsteiniano, che non presenta grandi difficoltà a menti che siano sufficientemente sviluppate e aperte alla matematica. Si impone infatti piuttosto rapidamente la constatazione che le equazioni einsteiniane si collegano a quelle che le hanno precedute, e che le includano come nei casi particolari - dunque le risolvono interamente”. Cosa fa Lacan? Dice, per gli spiriti aperti, che le equazioni einsteiniane includono quelle che le hanno precedute. Non è una rimessa in questione, è l’inclusione di un caso particolare in un caso più generale, è il caso per tutti gli organi che devono sparire, non solo il fallo. Quindi Lacan restituisce, con questo riferimento ad Einstein e Copernico, il fallo come essere caso particolare della castrazione, ed è per questo che risitua il fallo nel campo scopico. Il fallo è lo spazio dell’organo nel campo scopico, la detumescenza. Ecco le strategie di Lacan per andare al di là del punto di arresto di fine analisi secondo Freud, formulata da Jacques-Alain Miller: “il godimento si libera dell’impalcatura significante della sua prigione fallica, sono gli oggetti a che danno corpo al godimento, non è il fallo che dà corpo al godimento”. Miller, diverse pagine più in là, continua dicendo che “la castrazione è un nome improprio, che è sempre riportata a una evirazione da parte dell’Altro, come se il godimento fosse vietato da questo personaggio” e questo fa che Lacan si distingua da Freud, il quale intendeva nella fine dell’analisi soltanto una rivendicazione fallica - solo la domanda di Φ - e che Lacan svela come una illusione nel seminario X. Il commento di Lacan è “se c’è un oggetto perduto non vale la pena farne malattia”, la posta in gioco è dire che la castrazione è la detumescenza, non è per colpa dell’altro che non si è sempre in erezione. Far sì quindi che l’analisi si fermi sulla rivendicazione fallica è un errore e non è affatto fondato sulla realtà dell’etero castrazione, vale a dire una castrazione da parte dell’Altro come agente della castrazione. Il problema del punto di arresto dell’analisi per Freud è la credenza nel Φ e Lacan è perfettamente logico nel dire “se si vuole arrivare a capo della propria analisi bisogna smettere di credere al Φ“. Questo è un problema perché l’orientamento della psicoanalisi, come lo ha concepito Lacan fino a questo momento, era la sublimazione del godimento attraverso il significante del fallo, una specie di aufhebung del godimento attraverso il significante, e siccome non c’è significante ultimo, il fallo veniva come significante che non ha significato per sublimare il resto.
La differenza tra concepire il fallo come significante del resto o resto come non significante è questo, ovvero, invece di fare Φ come operatore della psicoanalisi, Lacan fa l’oggetto a come operatore e dunque l’idea che se si fa così la rivendicazione fallica si rivela un’illusione, detto fatto, e non vale più la pena spaccarsi la testa con il Penisneid, la protesta virile, ecc.
È sempre la strategia di Lacan fare dell’impossibile prodotto da Freud il punto di leva della psicoanalisi. Questo è sistematico in Lacan, vale a dire che lui stesso opera attraverso il resto, ovvero che c’è un sistema significante che produce sempre un resto per via dell’eterogeneità del vivente e del simbolico ma questo resto non è sempre identico a se stesso, perché il resto è prodotto del sistema significante, non è un resto all’origine. Questa è un’altra inversione rispetto a Freud che analizza quasi tutto salvo quello che resta, ovvero la fissazione libidica alla radice del sintomo (vedi la conversazione di Freud sulle vie delle formazioni del sintomo), mentre per Lacan il resto è prodotto, vale a dire che si può produrre un altro resto e il discorso analitico è una macchina per produrre un resto particolare. Non è il resto che c’è, ma un resto che si produce grazie al movimento di un discorso analitico, per questo, per Lacan, l’analisi può finire. Non si tratta di ritrovare un punto che non era simbolizzabile per struttura e di simbolizzarlo, al contrario si tratta di produrre qualche cosa che costituisca una simbolizzazione per quello che non è simbolizzabile.
Andando un po' più avanti si arriva alla prospettiva dell’evento di corpo, il sintomo come evento di corpo, quello che Eric Laurent ha definito come “gli effetti del significante sul corpo prima dell’emersione del soggetto parlante”, vale a dire che l’effetto del sistema del linguaggio sul corpo prima dell’istituzione del soggetto che potrebbe dirne qualche cosa.
Dunque dalla struttura c’è un resto, ed è un resto che di struttura, per sua struttura, non è né immaginarizzabile, né simbolizzabile; perciò la psicoanalisi è un dispositivo per l’invenzione di una soluzione, non è un dispositivo per ritrovare quello che si è perduto. La parola significante, il significante primario, S1, S2, l’essere di godimento, è qualcosa per cui si trova una soluzione uno per uno, un resto dove il soggetto grazie all’analisi trova una soluzione. Questo orientamento, che è il nostro per quanto riguarda la psicoanalisi, comincia nel seminario X.
La quarta questione, correlata a questo punto, vede che quando tutta la psicoanalisi mette al centro della propria teoria la castrazione, Lacan, per quanto riguarda l’oggetto perduto, mette al centro della psicoanalisi la separazione. Qual è la differenza? Nella castrazione è l'Altro che porta via qualcosa che avevamo, ed ecco da dove viene la rivendicazione fallica: mi hai preso qualche cosa, ce l’hai tu, era mia, ecc.. Questa impasse viene da lì, impasse che, fino a che si crede nell’Altro, non permette di venire a capo della propria analisi, perché abbiamo visto che l’oggetto a è collocato nell’Altro, ce l’ha l’Altro, qualunque modo sia, il fallo, il seno, lo sguardo, ecc. Per l’oggetto anale è più complicato perché in questo seminario Lacan ne fa il paradigma dell’oggetto a, ed è logico, perché la separazione fa sì che l’oggetto sia perduto al posto della castrazione, e l’oggetto anale è quello che più chiaramente si stacca dal corpo del soggetto: mentre per il seno si può credere che sia l'altro a prenderlo, il fallo è tra i due, è un ambocettore; l’oggetto anale è quello che davvero cade dal corpo del soggetto, ovvero è il paradigma dell’organo che si stacca.
All’inizio del capitolo VI, “Le palpebre di Buddha”, Lacan parla della circoncisione e ne ricorda la centralità nell’economia del desiderio. Cos’è l’economia del desiderio? È quella dell’oggetto nel senso in cui l’analisi lo fonda come oggetto del desiderio? Cos’è questo oggetto? È l’oggetto che cade dal corpo, per questo Lacan comincia il suo capitolo con un ritorno alla circoncisione, di cui aveva parlato nel capitolo precedente, vale a dire che il paradigma dell’oggetto a è l’oggetto caduto dal corpo.
Su questo possiamo dire due cose. Lacan non si attiene alla circoncisione perché è un fatto religioso, quindi la presenza dell’Altro come agente della castrazione resta comunque una possibilità piuttosto significativa; l’altra cosa importante è che Lacan cerca di fare dell’oggetto di desiderio l’oggetto causa e non l’oggetto punto di mira, e questa è un’inversione interessante nel seminario. Gli oggetto a non sono quello che si vuole, non stanno davanti a noi, ma sono oggetti che stanno dietro di noi, vale a dire, se si desidera qualcosa è perché si è perduto qualche cosa. Citando Jacques-Alain Miller, “nel seminario sull’angoscia abbiamo contrariamente all’oggetto affascinane ed eretto, che è il fallo, un’elaborazione che rettifica questo cammino per restituire l’oggetto parziale al suo posto di oggetto causa. L’oggetto parziale, riportato al posto della Cosa nella forma lungamente descritta del resto e dello scarto. Il desiderio è concepito come un’oggetto caduto, tagliato, caduco, separato, quello che è stato gettato e da cui il soggetto si è separato e il cui paradigma è l’oggetto anale.”

Ci sono ancora due punti importanti.
Il primo è collegato al fatto che Lacan cerca di superare la funzione del padre morto, per via della rivendicazione fallica che è correlata alla credenza del padre morto. Bisogna liberarsene e mettere al posto della funzione del padre morto, che è il punto di capitone della psicoanalisi, qualcosa che non inganni; perché se Φ è del registro dell’illusione, dell’adescamento, è proprio perché inganna. Quindi Lacan cerca nel seminario quello che non inganna, e quello che non inganna è quello che non si lascia significantizzare, quello che non si lascia prendere nell’aufhebung, vale a dire il godimento, in quanto non si lascia catturare dal significante. Dunque è il godimento irriducibile al principio di piacere e per questo Lacan fa dell’angoscia il segnale del reale.  
La funzione dell’angoscia è principalmente quella di essere questa bussola del reale. Questo permette a Lacan di risituare tutto il sapere elaborato a partire dall’Edipo come elucubrazione secondaria in rapporto alla dimensione dell’oggetto a.
Tutto ciò si trova molto chiaramente alla fine del capitolo XVIII “La voce di Yahweh”, dove parla dello “shofar”, quel corno che viene utilizzato nelle cerimonie ebraiche e sul quale Theodore Reik ha scritto un articolo. A pagina 277 dice: “Se seguiamo quanto osiamo sperare sia solo una metafora nella bocca di Reik, è un muggito di toro accoppato che si fa sentire ancora nel suono dello shofar”. Lacan dice che Reik, anche se ha l’intenzione di parlare di questo corno, fa ancora di questo suono la voce di Dio e, in particolare, la voce di Dio assassinato: è questo il muggito del toro accoppato. Riprendendo la citazione: “Diciamo, più semplicemente, che è il fatto originario inscritto nel mito dell’omicidio del padre a dare il via a quello per cui dobbiamo, pertanto, cogliere la funzione nell’economia del desiderio, vale a dire che si proibisce, come impossibile da trasgredire ciò che costituisce nella sua forma più fondamentale il desiderio originario”. Tutta la costruzione freudiana del rapporto del desiderio con quello che è vietato si rivede qui: se non c’è desiderio senza divieto, non c’è desiderio senza colui che vieta. Quindi la credenza nel padre morto e nel divieto in quello che è la condizione del desiderio è questo a costituire l’impasse della psicoanalisi. Se non c’è desiderio senza legge ci vuole un legislatore, è la prospettiva dell’oggetto punto di mira del desiderio, vale a dire che il soggetto non sa quello che vuole, vuole quello che gli viene proibito: è la prospettiva del desiderio in avanti, l’oggetto verso il quale il desiderio si dirige. Lacan aggiunge però in opposizione a questo, al mito originario supposto all’origine del desiderio, la frase seguente: “Esso è tuttavia secondario rispetto a una dimensione che dobbiamo affrontare qui ovvero il rapporto con quell’oggetto essenziale che funge da a, la voce, e ciò che la sua funzione apporta, come dimensioni nuove, nel rapporto del desiderio con l’angoscia”. La formulazione di Lacan è molto chiara, tutta l’economia del desiderio di Freud è secondaria rispetto all’oggetto a, cioè l’oggetto punto di mira del desiderio che era ciò intorno a cui girava la psicoanalisi fino a questo momento -  l’oggetto fallico, genitale, ecc. -, è secondario rispetto all’oggetto causa, l’oggetto causa di desiderio, che è prima nell’economia del desiderio.
Concludo con qualche elemento per raccogliere tutto ciò che ho detto.
L’oggetto causa è il pezzo di corpo perduto attribuito all’Altro e costruito nel fantasma sempre come qualcosa che mi è stato sottratto, che mi è stato rubato, quello che ho perduto, quello che mi è stato strappato. Si vede bene che la posta in gioco della psicoanalisi cambia e diviene così la traversata del fantasma, cioè vedere lo schermo del fantasma come quello che vela la castrazione nel senso della separazione da un pezzo di corpo; questo mostra una concezione completamente diversa nell’esperienza psicoanalitica, che è quella di modellizzare la seduta analitica sul cedimento, sulla cessione. Ogni seduta analitica deve essere una cessione di godimento, quindi per Lacan quello che conta è che attraverso le cinque forme dell’oggetto a, di cui abbiamo parlato oggi in modo superficiale, si estrae la matrice della cessione di godimento, vale a dire che quello che Lacan mette come posta in gioca nella psicoanalisi è che, seduta dopo seduta, l’analizzante produca un oggetto separato dal proprio corpo. Evidentemente non è in ogni seduta che si produce una cessione fondamentale, ma diventa comunque l’obiettivo di un’analisi. Non si ha più quindi la prospettiva di un’analisi col punto di capitone, metafora, significante finale, quindi un’analisi che porrebbe fine allo smarrimento del soggetto nel circolo infinto dei significanti, ma si ha invece la proposta di un altro punto di arresto, cioè di un'altra modalità di reperimento, che è basata sulla cessione dell’oggetto. È per questo che Lacan può dire che questo seminario è un seminario di rivivificazione del desiderio, perché il problema della metafora è che una volta che si è metaforizzato non vive più.
Jacques-Alain Miller fa un esempio nel suo corso “Clinica lacaniana” dell’1981-82, un esempio che prende da Balzac, dal suo breve racconto “Il colonello Chabert”. Il colonello Chabert è considerato morto; caduto in una delle battaglie napoleoniche, si trova sotto un mucchio di cadaveri, in una fossa comune. Qui prende un braccio di un soldato morto riuscendo a dissotterrarsi ed emergere dal mucchio di cadaveri. Poiché ha preso un colpo sulla testa, ha perso la memoria ed è iscritto nel registro dell’esercito napoleonico - nel simbolico - come morto. In tutto il seguito del racconto il colonello Chabert cerca di farsi riconoscere come vivo. Nella prima scena del racconto vi è questo personaggio che va dal notaio e la frase con cui si apre il racconto, detta dal segretario del notaio, è: “ha ancora questo vecchio cappotto”, una mantella da Sherlock Holmes. Questa mantella è il significante che metaforizza il colonello Chabert, è il significante che rappresenta il soggetto per un altro significante, il soggetto come morto. E la soluzione attraverso la metafora è questo, è il farsi rappresentare da un significante per un altro significante. Lacan scarta questa prima soluzione, quella di ritrovarsi nell’infinito del significante, e dà l’oggetto a come altra soluzione, qualcosa che non si muove e che condensa un godimento. Quindi vi è un resto reale che permette un orientamento del trattamento analitico.
Secondo me, l’analisi è la versione personale del Fort-Da, perché questo dà l’accesso omeostatico alla catena significante, siamo abituati a considerarlo così, a partire da Lacan, ma abbiamo una versione pulsionale del Fort-Da, ed è che il soggetto va, come spiega Miller, dal passaggio all’atto all’acting-out, vale a dire: mostro l’oggetto e mi separo dall’oggetto. Per questo, l’atto è al centro del seminario sull’angoscia; il soggetto parte dall’inibizione, e dall’acting-out al passaggio all’atto arriva alla possibilità dell’atto. Gli atti che Lacan definisce come analitici sono gli atti in cui il soggetto lascia le proprie coordinate significanti per ritrovarne altre che non sono le stesse, così abbiamo l’esempio che Lacan dà di Giulio Cesare, che prima di attraversare il Rubicone è un generale dell’esercito romano, ma dopo la traversata non lo sarà più e non sa quel che sarà, traditore forse o imperatore, e così è il soggetto che si presenta alla passe, si presenta come analizzante e ne esce come analista delle Ecole, oppure no, ma lascia quello che erano le sue coordinate simboliche per delle altre.
La posta in gioco quindi, del seminario X, è di riconfigurare l’esperienza analitica in questi termini e il punto di capitone del seminario, anche se non nel senso di metafora ma piuttosto di bussola diciamo, lo si trova a pagina 347: “è il mito personalista a declinare l’atto nel campo della realizzazione soggettiva, eludendo la priorità propria qui dell’a. L’a inaugura il campo della realizzazione del soggetto e vi conserva, pertanto, la sua prerogativa, di modo che il soggetto come tale non si realizza se non in oggetti che appartengono alla stessa serie di a, allo stesso luogo in questa matrice. Si tratta sempre di oggetti cedibili, ovvero di quelle che da molto tempo si chiamano “le opere”, con tutto il senso che tale termine ha, finanche nel campo della teologia morale”.
Vediamo qui come per Lacan il tragitto, il percorso di un’analisi, sia eccedere negli oggetti che appartengono alla stessa serie di a, dello stesso ruolo e della stessa matrice. Questa è la frase che giustifica quello che vi ho appena detto. Un’analisi è servirsi della matrice che produce gli oggetti a per far sì che il soggetto ceda sul proprio godimento e ne produca degli oggetti. Questo indica come l’oggetto a, malgrado le proprie radici naturaliste, non sia l’oggetto naturale. La separazione, la sparizione degli organi dei corpi, è il modello che la psicoanalisi può utilizzare per considerare che cos’è un’analisi quando non è nel registro del significante. Si coglie così chiaramente quando Lacan indica il mito personalista del pensare che si realizza se stessi: l’analisi non è diventare quel che si è, è separarsi il più possibile dal proprio godimento.


Domande

A..Succetti: Volevo chiedere se poteva sviluppare il fatto che nella doxa lacaniana lo psicotico ha l’oggetto in tasca. Lo psicotico in analisi, anche se forse non si può chiamare analisi, per il fatto che possa parlare, per il fatto stesso di poter parlare all’Altro, cede qualcosa del proprio godimento, anche se il lavoro non è certamente di fare tagli, ma di fare anellamenti.


V.Voruz: In effetti si capisce meglio la frase di Lacan che lo psicotico ha l’oggetto in tasca. Se l’oggetto non è caduto e non è stato collocato nell’Altro attraverso il fantasma, l’oggetto è ancora lì. Quindi come operare con un soggetto psicotico in analisi, se l’obiettivo è mirare alla cessione dell’oggetto, se possibile?  È per questo che l’analista si fa carico di questo oggetto, perché lo scopo dell’oggetto a è di far esistere l'Altro come desiderante. Evidentemente, il problema è che l’analista non sia troppo desiderante con un soggetto psicotico, ma l’analista può tuttavia contenere l’oggetto, forse non come oggetto prevalentemente desiderante, ma come involucro dell’oggetto. Potremmo dire che il corpo dell’analista contiene l’oggetto che lo psicotico tende a ricollocare nell’Altro, senza che questo lo minacci. Vale a dire che la non cessione dell’oggetto a è ciò che fa sì che lo psicotico sia desiderio dell’Altro, con tutti i problemi che questo pone nel maneggiamento del transfert. Si può immaginare che mettere l’oggetto nell’Altro sia qualcosa che dia sollievo: mettere le parole nell’Altro, mettere lo sguardo nell’Altro, far si che l’analista funzioni occupando un posto dell’ideale, contenendo la voce, ecc. Queste possono essere strategie che danno sollievo, forse però non bisogna utilizzare la parola taglio, ma la parola estrazione e, sia Freud, sia Lacan, sia Miller dicono che bisogna orientare la cura dei nevrotici a partire dalla cura degli psicotici. In entrami i casi quindi quello che è in gioco è un’estrazione, perché alla fine dei conti il nevrotico si aggiusta sempre in modo da ritrovare l’oggetto perduto. Questo è il fantasma, una macchina infernale, la macchina infernale del nevrotico che è al tempo stesso l’oggetto, il soggetto, lo sguardo preso in questo circuito infernale, dunque tutto il problema del oggetto a, che non è percepito come vuoto, è che è riempito dalle parvenze dell’oggetto a, gli oggetti orali, anali, che vengono a riempire di godimento il vuoto supposto degli oggetti.

Trascrizione e revisione testo Alberto Tuccio

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